CONGO: TANTA RICCHEZZA, TANTA POVERTÀ di Carla Mantelli

di BorgoAdmin

“Quello che stiamo vivendo oggi in R.D. Congo è così al di là del pensabile, del sostenibile e del credibile che a volte è persino difficile da raccontare. Viviamo in mezzo a un mistero del male che supera tutto quello che possiamo immaginare. Noi, come missionari, cerchiamo di fronteggiare questo mistero almeno gridando quello che portiamo dentro: un grido di dolore, ma anche di fede, di impegno e di speranza per il futuro” (padre Joseph Mumbere).

La Repubblica Democratica del Congo, in particolare nelle zone dell’est, da 25 anni vive guerre continue. Almeno 6 milioni di persone sono morte in questo periodo per cause direttamente o indirettamente legate alle guerre. Altri 6 milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case per sfuggire alle violenze. Centinaia di donne sono state violentate perché, come in tutte le guerre, lo stupro viene agito sistematicamente dai soldati per umiliare e distruggere il nemico. Moltissimi bambini non possono andare a scuola. Almeno 120 gruppi armati si fronteggiano facendo pagare il prezzo più alto ai civili. D’altra parte, se ci si arruola in uno di questi gruppi almeno si ha il cibo assicurato. E così la violenza e la morte non scandalizzano nemmeno più. Ci si fa l’abitudine. Il mondo si è mobilitato prontamente quando è scoppiata la guerra in Ucraina. Le guerre in Congo invece non interessano nessuno, o forse fanno comodo a molti visto che la situazione di caos e instabilità favorisce l’estrazione e il commercio illegale dei minerali di cui il Congo è ricchissimo e che costituiscono il “nuovo petrolio”. Si tratta, per esempio, del coltan e del cobalto, essenziali per i dispositivi elettronici e per le batterie delle auto elettriche.  In molte miniere nelle quali vengono estratti questi e altri minerali e che sono dei veri e propri gironi infernali, lavorano minorenni senza alcun diritto, a volte in stato di vera e propria schiavitù. Esiste però una società civile attiva che sta cercando di cambiare la situazione sulla base della giustizia e del rispetto dei diritti umani. Nelle fasce giovanili c’è molto astio contro l’Occidente ritenuto responsabile di appoggiare i peggiori dittatori africani che sono ritenuti, di fatto, dei manager a servizio delle multinazionali. Questo risentimento porta molti giovani a porre la propria speranza nella Russia che, con la Cina, ha anch’essa enormi interessi nella Repubblica Democratica del Congo. E l’Unione Europea sta a guardare? No. Dal 2017 è in vigore un Regolamento che vieta agli importatori di minerali di rifornirsi in contesti bellici, in cui non sono rispettati i diritti umani, in cui c’è illegalità. Ovviamente ci sono modi per aggirare queste norme ma l’attenzione degli Stati membri e delle imprese importatrici è presente e cresce in parallelo allo sforzo dell’UE di fare rispettare i valori della sostenibilità e della inclusività in campo economico.

Il prossimo 20 dicembre il popolo della Repubblica Democratica del Congo sarà chiamato alle urne per eleggere il nuovo Presidente. Tra i candidati ci sarà il dott. Denis Mukwege, nobel per la Pace 2018, il medico che cura le donne vittime di stupro. È una figura che suscita moltissime speranze per una vera democratizzazione del Paese e per la cessazione della guerra. C’è da sperare che le grandi potenze dell’ovest e dell’est del mondo comprendano che la stabilizzazione e la democratizzazione dei Paesi africani, alla lunga, saranno un vantaggio per tutti. E che non prevalgano ancora le logiche del male. Quelle che ho richiamato sono solo alcune delle questioni emerse dal Convegno “Congo. Tanta ricchezza, tanta povertà” che si è tenuto sabato 21 ottobre nell’ambito del Festival della Pace di Parma. Presenti l’assessora Daria Jacopozzi e il presidente della Casa della Pace Danilo Amadei. Gli interventi dai quali ho tratto il mio racconto sono stati di Anna Pozzi (giornalista di Mondo e Missione), Loris Cattani e Teresina Caffi (missionari saveriani), Pierre Kabeza (attivista per i diritti umani e insegnante in Congo), Sergio Piazzardi (funzionario UE).

“Se c’è un Paese dove l’Occidente deve pagare le sue colpe, questo è il Congo” ha affermato Pierre Kabeza. La sensazione è che il prezzo che i Paesi ricchi dovranno pagare per lo sfruttamento a cui da secoli sottopongono parte dell’Africa, sarà molto alto.

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