CHI HA PAURA DEL RAMADAN?  di Riccardo Campanini

di BorgoAdmin

Sono passati circa 14 secoli, ovvero 1400 anni dalla sua istituzione, ma ogni volta che arriva sembra sempre che si tratti di un “problema” nuovo ed imprevisto, tanto da riempire cronache e dibattiti, con toni per la verità non di particolare acume e profondità. Eppure, con la consistente immigrazione nel nostro Paese di persone di fede musulmana (anche se con numeri decisamente minori rispetto a Stati come la Francia o la Gran Bretagna) dovrebbe essere ormai di dominio pubblico che, in un periodo dell’anno noto già molto tempo prima, i seguaci dell’Islam osservano il Ramadan e ne festeggiano la conclusione, così come i cristiani, dopo la Quaresima, celebrano ogni anno la festa di Pasqua, a sua volta “ereditata” dalla tradizione ebraica. Ma forse 1400 anni sono ancora pochi, visto che qualcuno – specie di un determinato ambito politico e culturale – si stupisce e magari si allarma se, ad esempio, in occasione della fine del Ramadan i ragazzi musulmani restano a casa da scuola o se la comunità islamica chiede di poter utilizzare degli spazi per ritrovarsi a celebrare la festa. Il problema di fondo, che in realtà non riguarda solo questo particolare aspetto ma più generale l’intero fenomeno migratorio, è il fatto che questa tematica venga ogni volta affrontata come un’“emergenza”, ovvero come qualcosa di inaspettato e difficile da gestire, quando è evidente che se c’è qualcosa di assolutamente certo e prevedibile con largo anticipo sono proprio  le date delle festività religiose di qualunque credo e confessione. Ovviamente questo approccio “emergenziale” non è affatto casuale, ma nasce da una precisa logica politica ed elettorale: intanto, il presentare l’immigrazione e suoi diversi aspetti come un’emergenza conferma e rafforza sentimenti di diffidenza o addirittura di paura rispetto ad una realtà che, dati alla mano, dovrebbe invece essere considerata ormai del tutto normale nella realtà di oggi; dall’altra, offre la possibilità a politici ed amministratori di prendere provvedimenti spacciati come urgenti , giustificati proprio dalla necessità di fronteggiare ipotetiche emergenze.

Fortunatamente l’Italia è (ancora) uno Stato di diritto e quindi  “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo che nelle formazioni social” (art. 2 della Costituzione), come dimostrano le tante pronunce della Magistratura contro i provvedimenti di  amministratori locali che tendono invece a comprimere tali diritti, come nel (purtroppo) noto caso di Turbigo, dove il Sindaco di centro-destra, contrario a concedere alla comunità musulmana una sede in cui festeggiare la fine del Ramadan, è stato clamorosamente sconfessato dal TAR, che ha imposto al Primo cittadino di venire incontro alle richieste dei fedeli islamici. Di fronte a questo triste “braccio di ferro” tra poteri dello Stato appare quasi una bella favola l’approccio amichevole e accogliente messo in atto da tanti cittadini di ogni credo religioso  nei confronti della comunità musulmana durante il Ramadan: valga per tutti quanto accaduto nel Comune di Renate – tra l’altro non molto lontano da Turbigo – dove centinaia di persone, compresi tanti cristiani, hanno partecipato nell’oratorio “don Bosco” alla cena con cui gli islamici interrompono il digiuno giornaliero, organizzata proprio in collaborazione con il Parroco. A conferma, se ce ne fosse ancora bisogno, che quella sul Ramadan non è affatto una “guerra” tra religioni, ma semmai tra ottusità e buon senso.

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