TRA PLEBISCITO E TERRORISMO: LE MONTAGNE RUSSE DI PUTIN di Mara Morini, professoressa associata di Scienza politica all’Università di Genova

di BorgoAdmin

Le elezioni presidenziali del 15-17 marzo in Russia hanno costituito l’ennesimo rito plebiscitario che ha consacrato il capo del Cremlino, Vladimir Putin, alla guida del paese da ormai 25 anni (ivi compreso il ruolo da primo ministro). Come ha rilevato la direttrice della commissione centrale elettorale (Tsik), Ella Pamfilova, questa competizione elettorale si è contraddistinta per la quantità di record che ha determinato “nella storia elettorale della Russia moderna”. Si tratta del record della partecipazione elettorale, che si è attestata a 77,44 punti percentuali, e del consenso elettorale di Putin che decreta l’inizio del suo quinto mandato presidenziale con la più elevata percentuale di voti pari all’87,26 rispetto al 52,9 per cento dell’elezione del 2000. Una situazione paradossale che richiama alla mente una frase del celebre scacchista russo, Garry Kasparov, secondo il quale “quando nel menù c’è solo un piatto famoso, si tende ad ordinare solo ed esclusivamente quello”. E il menù elettorale del candidato Putin si è basato esclusivamente sull’effetto “rally around the flag”, un richiamo ai cittadini russi a sostenere la Patria dagli attacchi dell’Occidente “collettivo”. In realtà, c’è stato un altro tipo di record che riguarda le azioni individuali di protesta, avvenute in alcuni seggi elettorali tra lancio di Molotov e la vernice zelyonka versata nelle urne che è indice di un dissenso nei confronti del presidente e dell’invasione in Ucraina che, unito all’appello del voto a mezzogiorno dei sostenitori di Aleksej Navalnyj, indica quanto potenziale di opposizione ci sia attualmente anche se priva di una leadership e assetto organizzativo.

Solitamente queste elezioni servono come legittimazione “di facciata” delle scelte politiche del presidente, per misurare il grado di lealtà delle autorità locali verso il Cremlino e per “pesare” elettoralmente gli avversari politici nella spartizione di posizioni apicali nelle istituzioni o nell’amministrazione presidenziale. Putin si appresta, così, ad affrontare la prossima legislatura senza particolari cambiamenti per avvicinarsi alla scadenza del 2030 e trovarsi dinanzi ad un bivio: guidare la sua successione ovvero ricandidarsi per la sesta volta a 76 anni. Sul piano internazionale Putin ha voluto dimostrare tutta la sua “forza” che intende esercitare continuando il suo piano belligerante sull’Ucraina: evitare che questo paese esca dalla “sfera d’interesse” russa a tutti i costi. Tuttavia, le immagini della “potenza” della Russia e della “forza politica” di Putin sono state offuscate nell’opinione pubblica russa dalla visione dell’attacco terroristico al centro commerciale “Krokus” di Mosca, che era stata previsto dall’amministrazione americana e comunicato al Cremlino qualche settimana prima del tragico evento.  Putin non ha creduto agli Stati Uniti ritenendo che si trattasse di una mera notizia, volta a “destabilizzare la società russa” e sostenendo che vi sarebbe stata una “finestra aperta” agli attentatori, una via di fuga al confine ucraino. La propaganda russa insinua corresponsabilità ucraine per alimentare ancora di più l’astio dei russi nei confronti del governo ucraino, ma è verosimile ritenere che Putin stia affrontando il più complesso stress test da quando è al potere.

 

 

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