La lezione (dimenticata) degli anni di piombo

di Riccardo Campanini

Nella lotta contro il terrorismo di matrice islamica l’Italia avrebbe, rispetto agli altri paesi europei, un vantaggio non da poco: quello di aver già combattuto, e vinto, la battaglia contro un altro tipo di terrorismo, quello politico, che nel nostro Pese ha avuto un’eccezionale forza e durata, e quindi di poter giovarsi dell’esperienza maturata nei cosiddetti “anni di piombo”.

L’uso del condizionale è giustificato dal fatto che in molti dei commenti seguiti ai fatti di Parigi quella esperienza sembra essere ignorata non solo da tanti comuni cittadini, ma anche da giornalisti e opinionisti che pure quegli anni drammatici li hanno vissuti e dovrebbero quindi ricordarli bene. Sintetizzando al massimo- e con il rischio di semplificare eccessivamente il discorso – va evidenziato che contro il terrorismo “rosso” fu decisivo l’atteggiamento di totale condanna da parte del PCI, sebbene tanto le Brigate rosse quanto il partito di Berlinguer si richiamassero alla stessa matrice ideologica, appunto quella comunista. Ebbene, in quegli anni nessuno chiese ai “compagni” che si schierarono decisamente contro il terrorismo, risultando decisivi per la salvaguardia delle istituzioni democratiche, se la loro idea di democrazia coincidesse con quella tipica dei paesi occidentali o se in qualcuno di loro – anche ad alti livelli – permanesse l’idea di un suo “superamento”, magari con l’instaurazione di una democrazia “socialista” simile a quella dei Paesi dell’Est. L’importante, in quel drammatico momento, era che i milioni di iscritti e simpatizzanti del PCI condividessero con i cittadini e i politici di altri orientamenti politici il “no” fermo e risoluto al terrorismo, che, appunto grazie a questa compattezza, uscì alla fine sconfitto.

Proprio avendo in mente quella esperienza di “solidarietà nazionale” non si capisce perché, di fronte alle tante manifestazioni di condanna dell’ISIS e delle stragi di Parigi promosse dal mondo islamico, si sia fatto presente da più parti che tale mobilitazione non è sufficiente e che ci si aspetta anche una chiara presa di posizione su temi come quelli della parità tra uomo e donna o della laicità delle istituzioni. Richieste giuste e legittime , si intende, ma cosa c’entrano con gli attentati dell’ISIS? Forse che tanti ” buoni musulmani”, solo per il fatto che, ad esempio, fanno fatica ad accettare il principio – e la pratica – della piena uguaglianza tra uomo e donna, sono da considerarsi simpatizzanti di chi massacra a sangue freddo centinaia di vittime innocenti (musulmani compresi), o addirittura loro complici? La progressiva accettazione dei valori fondanti la civiltà occidentale da parte di tutti i credenti nell’Islam è naturalmente auspicabile, ma richiede tempi più lunghi di quelli che l’impegno nella battaglia contro il terrorismo esige da subito. E allora, visto che, come si dice da più parti, “siamo in guerra”, perché evidenziare ciò che divide anziché ciò che unisce nel fronte degli avversari dell’ISIS?

“Il meglio è nemico del bene”, dicevano gli antichi. Che, per ovvie questioni cronologiche, non erano né laici né integralisti, ma dopo due millenni hanno ancora molto da insegnare agli uni e altri.

Riccardo Campanini

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