GRETA NEL PAESE DEI TRATTORI di Riccardo Campanini

di BorgoAdmin

Fin dalle civiltà antiche il conflitto tra “città” e “campagna”, intese non solo come realtà geografiche e produttive ma anche nel loro aspetto ideale e simbolico, è un leitmotive ricorrente nella storia umana, che si è ulteriormente accentuato con il processo di modernizzazione e il progressivo spostamento del “centro” delle civiltà verso le aree urbane. Da questo punto di vista la protesta degli agricoltori di vari paesi europei nei confronti dei vertici istituzionali europei e nazionali non rappresenta, in apparenza, un avvenimento particolarmente nuovo e sorprendente. Ma, ad un’analisi più attenta, essa si rivela invece un fenomeno inedito e per certi versi paradossale, visto che uno dei bersagli della protesta è il green deal dell’UE, ovvero le misure messe in campo dalle istituzioni europee per contrastare il cambiamento climatico e favorire una conversione ecologica delle produzioni sia agricole che industriali. E – verrebbe da dire – chi più degli agricoltori, che vivono e soffrono in prima persona gli effetti del surriscaldamento globale sulle coltivazioni e sugli allevamenti, dovrebbe essere favorevole a queste politiche? Non sono forse loro – come si è sentito dire in continuazione nei giorni scorsi senza timore di apparire retorici – i custodi della genuinità, del “buon cibo di una volta”, della sicurezza alimentare contro le “diavolerie” del cibo importato o addirittura prodotto in laboratorio?! Qualcosa, anzi molto, non torna in questo narrazione se, ad esempio, una delle vittorie conseguite dalla protesta dei trattori è stato il rinvio sulla norma comunitaria di messa al bando dei pesticidi, i quali, senza scendere in dettagli troppo tecnici, non sono esattamente la migliore garanzia della salubrità dei prodotti….

Il discorso è certamente troppo lungo complesso per questo breve spazio, ma, in estrema sintesi, la transizione ecologica è un processo complesso e accidentato, che per raggiungere i suoi obiettivi deve riuscire a tenere insieme valori ed interessi, fini e mezzi, obiettivi e strategie, e inevitabilmente va incontro a insuccessi e battute d’arresto come quella di questi giorni (qualcuno ha scritto che, come ogni altro cambiamento epocale, anche la rivoluzione green non è un pranzo di gala, secondo il celebre aforisma di Mao). Piuttosto, è abbastanza singolare, e preoccupante, il silenzio dei movimenti che si battono contro il cambiamento climatico – a loro volta decisamente agguerriti, basti pensare ai ripetuti imbrattamenti di quadri famosi nei più importanti musei del  mondo – rispetto ai problemi sollevati dalla rivolta dei trattori. Che, al di là dei suoi aspetti più sensazionalisti e folkloristici, poteva rappresentare davvero un’occasione favorevole per chi è giustamente allarmato dal degrado dell’ambiente, e di conseguenza anche del cibo che finisce sulle nostre tavole, per far sentire la propria voce, non necessariamente in contrapposizione a quella degli agricoltori, ma arricchendo il dibattito  su temi così cruciali con punti di vista e sensibilità diverse (ad esempio quelli proposti dall’articolo di Nicola Dall’Olio nella Piazza)

Quante divisioni ha il Papa?”, domandava con sarcasmo Stalin ai tempi della Guerra fredda per ridimensionare (a torto) l’autorità morale e spirituale della Chiesa. “Quanti trattori ha il movimento Friday for future?”, si potrebbe chiedere oggi; ma in questo caso la domanda non è affatto fuori luogo.

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