ELETTORI E VOTO: NON SEMPRE C’È (ANCORA) DOMANI  di Riccardo Campanini

di BorgoAdmin

Non vi è dubbio che negli ultimi anni – non solo in Italia – il valore del voto si sia profondamente modificato per buona parte degli elettori: è mutato infatti il suo “peso” (non più un diritto-dovere da esercitare a ”prescindere”, ma semplice opportunità che può essere utilizzata o meno a seconda delle circostanze) e soprattutto ha assunto sempre più un significato per così dire “soggettivo”. Con il voto, infatti –e ancora di più col non voto -non si sceglie (solo) un partito e/o un leader ma si lancia un messaggio, solitamente di protesta e di insoddisfazione, rivolto a chi governa o addirittura all’intera classe politica. Il problema, però, è che nel freddo computo dei voti e dei seggi questi sentimenti che vorrebbero dare al voto un significato ulteriore rimangono inespressi, dato che nel conteggio si perde ogni distinzione tra voto convinto e voto arrabbiato e quel che resta alla fine di ogni elezione è semplicemente il quadro di di chi ha vinto e di chi ha perso, e soprattutto le conseguenze che tale risultato porta con sé. Capita così sempre più frequentemente che gli elettori non si riconoscano in quello che succede “dopo” il voto: “io volevo solo protestare e invece mi ritrovo….”, è la lamentela che spesso accompagna risultati elettorali che terremotano il quadro politico e danno il potere a personaggi discutibili (come, ad esempio sta succedendo in questi giorni in Argentina). Fortunatamente la democrazia consente, a distanza di qualche anno, di correggere il tiro e di rimediare a scelte di cui gli elettori si sono rapidamente pentiti, come è successo, per citare alcuni casi recenti, con Trump negli USA, con Bolsonaro in Brasile, con Kaczyński  in Polonia. Ma in altre circostanze il voto produce invece conseguenze irreversibili: anche senza rievocare le elezioni che nello scorso secolo videro vincitori Mussolini ed Hitler (e che segnarono l’inizio della dittatura in Italia e in Germania) il caso recente più clamoroso è quello della Brexit, che, stando a diversi sondaggi, a quasi 10 anni dal referendum del 2016 viene oggi bocciata da quasi tutti i cittadini britannici, compresi quelli che a suo tempo l’avevano votata, ma che ormai è diventata una decisione da cui non si può più tornare indietro.

In questo 2024, ricco di consultazioni elettorali in tanti paesi del mondo, sono in programma anche due appuntamenti particolarmente importanti e, come si suol dire, epocali: il rinnovo del Parlamento europeo in giugno e le presidenziali americane in novembre. Sono in molti a temere che queste due consultazioni elettorali possano portare in un caso all’arresto o addirittura al declino del progetto di unificazione europea, qualora si verificasse un’affermazione delle forze euroscettiche, e nell’altro ad una profonda crisi della democrazia americana come conseguenza di una nuova affermazione di Trump. Naturalmente gli elettori – europei e americani – sono liberi di scegliere queste opzioni, se è questo che vogliono; ma, riprendendo quanto si diceva più sopra, il rischio è che risultati così problematici e forieri di pesanti conseguenze vengano determinati non da un voto “per” ma piuttosto da una scelta “contro”, che non tiene conto delle conseguenze che essa comporta e soprattutto senza la possibilità di correggerla in un’occasione successiva. Per certi appuntamenti della storia, infatti, è meglio non confidare nel fatto che, come recita il titolo di un film di successo “c’è ancora domani”. Potrebbe essere troppo tardi.

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