SPORTIVI (E NON), DIVERSAMENTE ITALIANI  di Riccardo Campanini

di BorgoAdmin

Ipotizzando che ci sia ancora qualche italiano che non sa nulla di sport  lo si potrebbe ingaggiare per uno di quegli esperimenti che piacciono tanto a sociologi e psicologi: dapprima mostrargli due cartelli con i nomi, rispettivamente, di Jannik Sinner e Mario Balotelli e chiedergli chi dei due è italiano; subito dopo, togliere il cartello, mostrargli la foto dei due suddetti sportivi e rifargli la stessa domanda. E’ altamente probabile che la vittima dell’esperimento risponda “Balotelli” alla prima domanda e “Sinner” alla seconda. In realtà, come ben sanno tutti quelli che conoscono i due personaggi, la risposta esatta è “entrambi”, anche se uno appartiene alla minoranza di lingua tedesca e il secondo è nato da immigrati ghanesi. (Semmai, a voler essere pignoli, il “meno italiano” è proprio Sinner non tanto per la lingua madre quanto perché risiede a Montecarlo e quindi non è contribuente dello Stato italiano, ma questo è un altro discorso…) Questa storiella può essere utile per capire come l’appartenenza ad un determinato popolo, oltre che essere un concetto estremamente labile e variabile nel tempo – milioni di persone, alcune delle quali famosissime (artisti, scienziati, personaggi dello spettacolo….) , hanno conosciuto ed amato due o più patrie nel corso della loro vita – non dipenda da fattori “razziali” o etnici, con buona pace di qualche esponente dell’attuale Governo, ma è una faccenda soprattutto culturale e sociale. E proprio il mondo dello sport, da questo punto di vista, ne è un esempio particolarmente efficace e da prendere ad esempio: per limitarci al nostro territorio, due campioni come Fausto Desalu e Ayomide Folorunso, cresciuti sulle piste di atletica di Parma, rappresentano degnamente l’Italia in giro per il mondo senza che nessuno obietti alcunchè sul loro cognome o sul colore della loro pelle. Ecco perché la battaglia, purtroppo finita nel dimenticatoio, a favore dello ius scholae o ius culturae, finalizzata cioè a concedere la cittadinanza italiana a chi, nato in Italia da genitori stranieri, parla la nostra lingua, frequenta le nostre scuole, veste e mangia come i coetanei figli e figlie di italiani, prima ancora che una questione di giustizia e di equità è e dovrebbe essere il riconoscimento di un dato di fatto, che solo una visione ottusa e irragionevole può contestare o fingere di non vedere. D’altronde l’Italia di oggi, e chi la abita, è frutto di una storia di ripetute invasioni e di complesse convivenze di popoli diversi, e sarebbe quindi arduo individuare con precisione l’italiano vero, per citare una famosa canzone di  alcuni anni fa.

Tornando allo sport, va ricordato che anche quello “visto”, oltre che quello praticato, può essere un potente veicolo di integrazione dei “nuovi italiani”. E’ notizia di qualche giorno fa che in un bar cittadino, mentre la TV trasmetteva una partita della Coppa d’Africa di calcio, si è accesa una rissa tra i sostenitori delle nazionali impegnate, né più né meno come capita quando si affrontano in un derby due squadre dei nostri campionati. Se non è integrazione questa…

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