UN CINQUANTENARIO DA RICORDARE:  MONS. A. PASINI,  VESCOVO “TRAGHETTATORE”  di Giorgio Campanini

di Redazione Borgo News

In questo anno 2021 ricorre un cinquantenario che non è inopportuno ricordare, considerata la profonda incidenza che il passaggio dell’episcopato ha avuto nella vita della Chiesa di Parma e, conseguentemente, della città. Il 13 marzo di quell’anno finiva, infatti, dopo oltre 40 anni, l’episcopato di Evasio Colli e iniziava di fatto quello di Amilcare Pasini, da alcuni anni Amministratore apostolico della Diocesi. Di lì a breve la successine sarebbe stata formalizzata dalla Curia romana. Se si considera la lunghezza e la rilevanza dell’episcopato di Colli – sul quale ha scritto egregie pagine Umberto Cocconi nel volume “L’ultimo Vescovo del Concilio Vaticano I” (Morcelliana, Brescia 2020)-  ben si comprende quanto complessa e delicata sia stata la successione di mons. Pasini, che anche per questo merita di essere ricordato come il Vescovo che operato un duplice transizione. Quella da un episcopato “forte” ed autorevole, come è stato quello del suo predecessore (assai apprezzato e valorizzato anche in ambito nazionale) ad uno apparentemente più “debole” e certamente meno carismatico. Come Vicario generale prima ed Amministratore apostolico poi, Pasini è stato il “traghettatore” della Diocesi di Parma da una guida carismatica ad una considerata spesso  di routine (densa tuttavia di problemi e di istanze al rinnovamento,) ma in realtà complessa, problematica, spesso conflittuale, come è stata la stagione del Concilio Vaticano II e della sua prima traduzione nella vita della Chiesa. Ed in effetti con l’episcopato di Colli finiva una stagione – quella della “forza” della tradizione – e se ne apriva un’altra, quella della presunta “debolezza” di un processo di rinnovamento che metteva in discussione, anche nello specifico contesto parmense, antichi (e da tempo considerato acquisiti) equilibri.

Anche in relazione al forte attaccamento alla tradizione che ha segnato il lunghissimo episcopato di Colli vanno letti i fermenti, le tensioni, qualche volta le rotture che hanno caratterizzato a Parma il post-Concilio e che sono stati posti in evidenza nell’esemplare opera collettiva Concilio e post-Concilio a Parma (MUP, Parma 2018), egregiamente curata da Giorgio Vecchio, fondamentale punto di riferimento per la ricostruzione della vicenda complessiva della Chiesa locale nella fervida e talora burrascosa stagione post-conciliare. Proprio per il forte ancoramento alla tradizione dell’era-Colli, Pasini ha incontrato non poche difficoltà a guidare l’impetuoso processo di trasformazione della vita interna della Chiesa alla quale l’evento conciliare aveva dato avvio. Non sono mancati i momenti difficili – da una contestazione assai aspra alle non poche defezioni verificatesi nel clero – e a più riprese Pasini è stato accusato di assenza di autorevolezza e di timidezza nell’affrontare le nuove e drammatiche problematiche con le quali si è dovuto confrontare. Ma alla fine la sua mitezza e la sua pazienza hanno avuto ragione tanto delle eccesiva timidezza di un corpo ecclesiale troppo spesso ancorato al passato, quanto della talora spregiudicata audacia di “novatori” tentati di rompere con la Tradizione, piuttosto che di rinverdirla e di rinnovarla come è stato nella componente più illuminata del post-Concilio.

Non vi è dubbio che il Vescovo Pasini abbia, in quegli anni, molto sofferto e sia stato spesso esposto alle critiche, spesso convergenti, dei nostalgici del “mondo antico” e degli impazienti del “mondo nuovo”. Chi lo ha conosciuto abbastanza da vicino (come chi scrive, che ha a lungo beneficiato della sua guida spirituale) ben sa della sua sofferenza e talvolta delle sue lacrime.. Alla fine, tuttavia, la sua mitezza ha avuto la meglio sugli uni e sugli altri. Così Amilcare Pasini è stato di fatto – e ogni obiettiva ricostruzione della storia della Chiesa parmense non manca di metterlo in evidenza – il “traghettatore” sulla nuova sponda della Chiesa di una Diocesi che, più di altri, si è trovata spiazzata e impreparata di fronte alle indubbie novità conciliari: troppo arrendevole per alcuni, troppo legato alla tradizione per altri, alla fine Pasini ha consentito – non senza momenti tesi e difficili, tuttavia – di condurre in porto la prima stagione della Chiesa conciliare, aprendo a la strada a quanti gli sono poi succeduti nel corso della storia della Chiesa di Parma, i Vescovi Cocchi, Bonicelli e Solmi. Come è nella migliore tradizione della Chiesa, la legge della gradualità è stata alla fine vincente. Non sarebbe inutile, nonostante le remore che la pandemia impone ala ricerca culturale, riflettere su questo 1971 “di svolta” per trarre una sempre utile lezione dalla storia; pur nella consapevolezza che essa insegna qualche cosa, ma non tutto,  e soprattutto che gli errori della uomini – anche, talora, nella Chiesa – si ripetono regolarmente in una storia che, assai più che “maestra di vita”, è spesso un’ecatombe di errori e di sconfitte.

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