QATAR, IL MONDIALE DELLE POLEMICHE. A TEMPO SCADUTO di Riccardo Campanini

di Riccardo Campanini

Breve riassunto delle puntate precedenti: nel 2010, la maggioranza delle Federazioni nazionali aderenti alla FIFA (l’Organizzazione mondiale del calcio – quindi non i marziani o il Grande dittatore di turno – decide di assegnare i Mondiali di calcio 2022 al Qatar. Naturalmente, ipotizzando che chi ha preso questa decisione fosse nel pieno possesso delle sue facoltà mentali, tutti erano perfettamente consapevoli che a) in Qatar non esistono gli impianti per ospitare il Mondiale, che pertanto avrebbero dovuto essere costruiti ex-novo  b) che in quell’area geografica ci sono condizioni climatiche proibitive; e infine, magari non proprio tutti, ma molti sapevano che c) in Qatar i diritti umani sono tutt’altro che rispettati, per usare un eufemismo. A quel punto, escludendo che il voto fosse irregolare o estorto con la forza, era ovvio che l’organizzazione dei Mondiali 2022 avrebbe seguito il suo corso, naturalmente condizionato dalle situazioni sopradescritte: quindi, spostamento della manifestazione dall’estate all’inverno, con stravolgimento dei campionati nazionali e delle coppe europee, costruzione di stadi faraonici e costosissimi, che dopo i Mondiali quasi nessuno userà più; senza parlare delle condizioni inumane dei lavoratori impiegati nei cantieri, trattati alla stregua di schiavi dell’antichità.  Non c’era quindi proprio niente da fare, una volta assegnata al Qatar la manifestazione? In realtà, forse una possibilità c’era: che le federazioni europee, ovvero le superpotenze del calcio planetario (gli ultimi 4 Mondiali sono stati tutti vinti da squadre del Vecchio Continente) chiedessero, per le ragioni sopra espresse, di rivedere la decisione, minacciando in caso contrario il boicottaggio dei Mondiali. Ovviamente non è affatto sicuro che una simile sortita avrebbe funzionato, ma almeno il tentativo poteva essere fatto. E’ successo? Naturalmente no – visti anche, e soprattutto, gli interessi miliardari che girano intorno al calcio – e quindi lo scorso 20 novembre la Coppa del mondo di calcio ha preso regolarmente il via in Qatar.

E allora, riassunto brevemente quanto successo fino ad oggi, una domanda sorge spontanea: che senso hanno le manifestazione di sdegno, le lamentele per un Mondiale giocato “fuori stagione” e – temi questi ben più seri e drammatici – le denunce relative allo sfruttamento dei lavoratori e alla violazione dei diritti umani in Qatar, che si sono levate nei giorni immediatamente precedenti l’avvio del Mondiale? Non era meglio provare a fare qualcosa nei 12 (dodici!) anni intercorsi tra l’assegnazione della manifestazione e il suo svolgimento anziché (far finta di) stracciarsi le vesti quando ormai è troppo tardi? Queste indignazioni “fuori tempo massimo”, più che espressioni di una legittima rivolta morale, appaiono nella gran parte dei casi una malcelata forma di ipocrisia, un tentativo di “salvare la faccia” di fronte ad una scelta assurda e illogica come quella di un Mondiale di calcio in Qatar (come noto, ci sono decine di Paesi democratici e rispettosi dei diritti umani in grado di ospitare la manifestazione, garantendo oltretutto temperature “normali” e l’utilizzo di impianti in gran parte già esistenti). D’altronde, che dei gravi problemi appena descritti in realtà importa ben poco alle gran parte degli “sportivi” lo conferma il fatto che, se si facesse un referendum tra i tifosi arrivati in Qatar per sapere cosa davvero non funziona nell’organizzazione dei Mondiali, la risposta più votata ricalcherebbe il famoso monologo su Palermo del film “Johnny Stecchino”: diritti umani? lavoratori sfruttati? Macché, il grande problema dei Mondiali 2022 è…la birra, o meglio l’assenza di punti vendita di birra vicino agli stadi! In buona sostanza (sempre per citare il film di Benigni), dal “panem et circenses” dell’antichità al “birra e calcio” dei giorni nostri è cambiato davvero poco, quasi niente. A parte, appunto, l’ipocrisia.

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