LA DEMOCRAZIA È ETERNA. FINCHÈ DURA   di Riccardo Campanini

di BorgoAdmin

L’esito delle elezioni presidenziali in Turchia, che hanno sancito l’ennesima (ma stavolta striminzita) vittoria di Erdogan, potrebbe sembrare un avvenimento lontano e tutto sommato “minore” tra i tanti che si susseguono nelle frenetiche cronache di ogni giorno. In realtà si tratta di un risultato che può e forse deve aprire una seria riflessione su cosa è – e, specularmente, cosa non è –democrazia. Solitamente, infatti, si fa coincidere l’esistenza di un regime democratico con lo svolgimento corretto e trasparente di libere elezioni, caratterizzate dalla possibilità di scelta tra più partiti e/o candidati:. Tutte caratteristiche che da  questo punto di vista, possono essere attribuite con buona sicurezza alle recenti elezioni turche . Ma in realtà un regime democratico si caratterizza anche per altre specificità, di cui spesso ci si dimentica: in primis, l’esistenza di un sistema di informazione libero e pluralistico, la separazione tra i vari poteri dello stato, l’indipendenza della magistratura. Ebbene, in base a questi parametri quella turca (senza scendere in analisi più dettagliate, che richiederebbero tutt’altro contesto) è sicuramente una democrazia zoppicante, se non addirittura a rischio di involuzione autoritaria: .basterebbe ricordare che Erdogan è al potere da più di 20 anni, circostanza questa che non trova riscontro in nessun paese democratico, eccezion fatta (e certo non è un caso) per l’Ungheria di Orban, anch’essa accusata di avere intrapreso la strada verso l’autoritarismo o addirittura, per usare un inquietante neologismo, di essersi ormai trasformata in democratura.

Ma ci si può chiedere; cosa c’entra tutto questo con l’Italia? Tutto e niente, si potrebbe rispondere con una battuta. Niente, perché, fortunatamente (o meglio, grazie alla saggezza dei cittadini e alla lungimiranza dei costituenti) la democrazia italiana, pur con tutti suoi difetti, gode di buona salute, anche se il progressivo calo di votanti alle varie consultazioni elettorali è un dato sicuramente preoccupante. Tutto perché, come dimostrano appunto i casi di Ungheria e Turchia – e di tanti altri nella storia – la democrazia non è mai acquisita una volta per tutte; e soprattutto perché, a differenza del passato, il passaggio verso regimi autoritari non avviene più in modo violento, ma con gradualità e quasi sotto silenzio. Ecco allora che, prendendo qualche esempio dalla recente cronaca politica del nostro paese, il venire men del pluralismo informativo della TV pubblica (combinato oltretutto con il quasi assoluto monopolio dell’informazione televisiva privata), le ipotesi di concentrazione del potere nelle mani di un solo soggetto – il Presidente della Repubblica o più probabilmente un Primo Ministro eletto direttamente – le spinte per un ridimensionamento del ruolo della magistratura contabile, sono tutti segnali che devono destare una qualche preoccupazione.

Proprio qualche giorno fa è stata celebrata la Festa della Repubblica, che, come dice la sua etimologia latina, è tale perché è publica, cioè di tutti e di tutte. Il rischio, guardando appunto all’involuzione della democrazia turca, è che a poco a poco (e la scarsa affluenza alle urne va appunto in questa direzione) anche la nostra Repubblica diventi dapprima “di nessuno” e infine solo “di qualcuno”.

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