ITALIA ED EUROPA: DIVERSI DA CHI?  di Riccardo Campanini

di Riccardo Campanini

  E’ un rituale ormai scontato e prevedibile quello che vede le autorità del nostro Paese contestare decisioni o anche semplici ipotesi di provvedimentI dell’Unione Europea con la giustificazione che l’Italia è “diversa” e quindi non può recepire le normative europee senza subire gravi danni. Fatta salva naturalmente la necessità sia di un’attenta analisi delle conseguenze della legislazione comunitaria, sia di eventuali richieste di modifica che potrebbero seguirne, sarebbe interessante capire in cosa consisterebbe questa “diversità” italiana; partendo, peraltro, da una constatazione, che sicuramente non piacerà a chi (a parole) si dice paladino della tradizione e dell’identità italiana, ma che fotografa un dato incontrovertibile della nostra storia. Il fatto, cioè, che il nostro Paese, rispetto alle altre grandi nazioni occidentali, è quello che più di tutti ha subito influenze culturali, linguistiche, persino gastronomiche importate da altri popoli e tradizioni. Per farla breve, basterebbe ricordare i molti termini del “nostro” dialetto parmigiano che sono derivati dal francese come effetto della dominazione dei Borbone prima e di Maria Luigia poi. Come ben noto, oltre ai cugini d’Oltralpe, spagnoli, austriaci, normanni (ma anche Bizantini, Longobardi, Franchi …) hanno per secoli governato parti più o meno grandi del nostro Paese, lasciando ciascuno un segno indelebile, talvolta positivo, altre volte negativo; e l’Italia di oggi è frutto appunto di questa secolare “contaminazione” con altre culture e tradizioni. Ma anche prendendo in considerazione quanto vi è di più “tipico” del costume italico non è certo il caso di esaltare sempre e comunque la nostra “diversità”: la criminalità organizzata nelle sue varie forme e denominazioni, l’evasione fiscale. l’abusivismo edilizio, per non citare che i più tristemente noti, sono tutti fenomeni che contraddistinguono in negativo l’Italia rispetto agli altri Paesi europei e neanche il più sfegatato “patriota” avrebbe il coraggio di difenderli come tradizioni da mantenere o addirittura rafforzare.

E dunque, tornando alla domanda iniziale, in cosa consisterebbe questa “diversità” da tutelare a tutti i costi dalle intromissioni comunitarie? Il discorso sarebbe naturalmente molto lungo, troppo per il breve spazio di questo articolo. Ma, in ogni caso, non è questo il punto: tutti i 26 Paesi dell’U.E. hanno (poche o tante) caratteristiche che li rendono unici e particolari, ciononostante hanno scelto di dotarsi di istituzioni e di regole comuni, sapendo che questo significa anche dover rinunciare ad una parte di questa unicità. – esattamente come avviene in una famiglia, o in un condominio. E chi, come la Gran Bretagna, ha invece scelto di andare avanti da sola, sta sperimentando tutte le difficoltà e i problemi che questa decisione comporta (secondo un recentissimo sondaggio più di due terzi dei britannici vogliono un nuovo referendum sul rientro nell’Ue e più della metà degli intervistati ritiene sbagliata la decisione di uscirne). Quindi, anziché sventolare la “diversità” italiana per frenare o rallentare il processo di integrazione europea, i nostri governanti dovrebbero invece provare a valorizzare a livello europeo le tante eccellenze nazionali, viste non più come una riserva da difendere da chissà quale nemico, ma come un valore da diffondere e promuovere, “contaminando” positivamente anche le istituzioni europee. Se milioni di cittadini europei vestono e mangiano “italiano” e apprezzano l’arte e la musica made in Italy non lo fanno certo perché costretti da qualche autorità sovrannazionale; e se, viceversa, l’esempio straniero può aiutare ed essere uno stimolo a risolvere qualche nostro male atavico, dov’è il problema? E allora il sospetto è che l’Europa sia solo l’alibi per rinviare sine die riforme tanto difficili quanto necessarie; perché il rinnovamento che serve al nostro Paese “lo chiede” non l’Europa ma l’Italia.

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