TARDINI E DINTORNI (MA NON E’ L’ARENA)  di Riccardo Campanini

di BorgoAdmin

Il dibattito e le discussioni che, soprattutto nelle ultime settimane, si sono susseguiti sull’ipotesi di ristrutturazione dello Stadio “Tardini” si prestano ad alcune considerazioni di carattere generale, al di là della specifica materia in esame. La prima – e più delicata- riguarda il ruolo della partecipazione diretta dei cittadini e, in specifico, il valore da attribuire alle oltre 8000 firme raccolta a sostegno della petizione che è stata illustrata e discussa in Consiglio comunale. Qualcuno ha legittimamente fatto presente che l’adesione alla petizione di un così elevato numero di cittadini in un momento storico segnato da una bassa partecipazione al voto (anche al ballottaggio per il Sindaco della scorso giugno aveva partecipato meno della metà degli aventi diritti al voto) è un forte e consolante segno di interesse per la “cosa pubblica”. Ma altrettanto legittimamente si potrebbe ribattere che negli ultimi decenni la formazione di Comitati – sorti quasi sempre per contrastare la realizzazione di determinate opere o infrastrutture -, spesso numericamente consistenti e assai combattivi, è andato di pari passo con la crisi delle forme tradizionali di rappresentanza politica e, appunto, con il progressivo calo dell’affluenza alle urne; come se entrambe le tendenze (l’adesione ai Comitati e l’astensione dal voto) fossero due facce della stessa medaglia, ovvero la sfiducia e l’estraneità rispetto alle istituzioni rappresentative e alla politica “ufficiale”. E d’altronde è un dato di fatto inoppugnabile che la nascita di gruppi spontanei contrapposti alle autorità locali o nazionali ha preso piede soprattutto dopo il declino dei grandi partiti di massa della Prima Repubblica, che avevano tra l’altro la funzione di contenere e assorbire la protesta e il dissenso su determinati temi.

Un’altra riflessione che il dibattito sul Tardini può suscitare prende le mosse dal sospetto e della diffidenza che da più parti si è manifestata nei confronti del soggetto privato – l’attuale proprietario del Parma Calcio – che si farebbe carico dell’intervento di ristrutturazione dello stadio, Anche in questo caso è interessante andare con la mente ad alcuni decenni fa, allorchè, nel giro di qualche anno, si è assistito ad una progressiva perdita di fiducia nel “pubblico”, considerato inefficiente e improduttivo se non addirittura clientelare e corrotto, e ad una parallela esaltazione del “privato”, considerato sinonimo di libertà, intraprendenza, rapidità. Fu quella, appunto, l’epoca della grandi privatizzazioni delle Aziende pubbliche e parastatali anche in ambito locale(e anche dell’affermazione in campo politico di un importante imprenditore) – ma, a distanza di alcuni decenni, quella fiducia nell’intervento dei privati come rimedio alle lungaggini e alla farraginosità dell’intervento pubblico sembra essersi decisamente appannata, come dimostrano appunto anche le riserve e i dubbi nei confronti dell’imprenditore Presidente del Parma Calcio.

Come si vede, nelle vicenda dello Stadio e della sua possibile ristrutturazione entrano “in campo” tante componenti e fattori –politici, sociali e culturali – che vanno ben al dii là della questione in sé. Anche per questo il percorso verso l’ammodernamento del “Tardini” che è stato avviato in queste settimane può essere paragonato proprio ad un incontro di calcio, il cui esito è incerto fino alla fine: perché, come diceva un famoso allenatore,” partita finisce quando arbitro fischia tre volte”.

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