SPERIAMO CHE SIA FEMMINA   di Riccardo Campanini

di BorgoAdmin

Forse perché, per la prima volta nella storia della Repubblica, è guidato da una donna, il Governo Meloni punta moltissimo sulle capacità e sulle competenze – naturali  e non – del genere femminile per risolvere i tanti problemi del nostro Paese. Infatti alle donne (anche perché, al momento, non vi è alternativa) è ovviamente affidato il compito di generare figli per uscire dalla drammatica crisi demografica che affligge l’Italia; figli, va aggiunto, possibilmente di carnagione chiara, in modo da scongiurare quella “sostituzione etnica” paventata dal ministro Lollobrigida. Ma, come auspicato dalla stessa Meloni, le donne dovrebbero anche essere impiegate in quelle tante mansioni scarsamente qualificate e remunerate, soprattutto di natura stagionale, oggi ricoperte da immigrati (maschi) più o meno regolari, così da evitare la possibile “invasione” da altri continenti, naturalmente sempre a tutela dell’”italianità” (anche perchè che gli immigrati, non si mai, potrebbero anche avere relazioni affettive con le italiane e persino mettere al mondo dei figli “meticci”…). E poi, sempre partendo dalle impietose stime demografiche, il progressivo aumento della popolazione anziana e quindi non autosufficiente porterà necessariamente ad un sempre maggiore carico di lavoro assistenziale, sia in famiglia – dove, come noto, sono soprattutto le donne a farsi carico di genitori e parenti anziani – sia nelle strutture assistenziali e di cura, caratterizzate da una manodopera a larghissima prevalenza femminile. E che dire del fatto che già oggi, e sempre più nei prossimi anni, il pensionamento della generazione dei boomers lascerà scoperti migliaia di posti di lavoro, che soprattutto in settori dove occorrono competenze particolarmente elevate (Università, ricerca, innovazione…) verranno ricoperti in prevalenza da giovani donne, vista la preponderanza femminile, in termini sia quantitativi che qualitativi, tra quanti frequentano le Università italiane? Infine, vi è sempre sullo sfondo la possibilità – ma almeno in questo caso il Governo non c’entra – che prima o poi si aprano alle donne anche quelle carriere ecclesiastiche oggi riservate esclusivamente ai maschi, e che quindi anche la sempre più accentuata carenza di clero venga almeno in parte colmata da vocazioni femminili.

Se questo è il quadro, vengono spontanee alcune domande: quante donne “serviranno” per far fronte a tutte queste impellenti esigenze della società italiana? E che profonde trasformazioni – di carattere sociale, culturale, formativo, normativo – occorreranno perché alle donne sia effettivamente data la possibilità di svolgere le tante, e talvolta contraddittorie, “missioni” loro affidate? Ma soprattutto: non è finalmente venuto il tempo in cu le donne possano decidere il proprio destino autonomamente, essere “soggetti” e non “oggetti” di scelte e decisioni di altri, ministri/e e politici compresi? Di “uomini della Provvidenza”, come ricordato anche in occasione del 25 aprile, l’Italia ne ha (purtroppo) già avuti e ne avrebbe fatto volentieri a meno, e non è proprio il caso di ritentare con presunte “donne della Provvidenza”

 

 

 

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