IL PAPA, PIÙ SINODALE DEL SINODO, FA IL TIFO PER I PARROCI – A VOLTE BASTA POCO PER CAMBIARE MOLTO di Ennio Mora

di BorgoAdmin

Eravamo negli anni settanta in pieno clima post-conciliare. Improvvisamente giunse la notizia del trasferimento dell’ allora parroco di Santa Maria del Rosario a Langhirano. Don Domenico Magri era un parroco molto benvoluto, che aveva avviato esperienze ecclesiali importanti, fra le quali l’avvio di una nuova comunità culminata nella costruzione di una chiesa nel quartiere Volturno e la costituzione di un gruppo presbiterale interparrocchiale, formula avanguardista e profeticamente proiettata in avanti. La decisione comportò una reazione piuttosto negativa da parte della comunità, che si sentì scavalcata da una decisione calata dall’alto con motivazioni plausibili ma poco convincenti. Ricordo di avere partecipato ad un’assemblea piuttosto infuocata svoltasi alla presenza del vescovo, che spiegò candidamente le sue irrevocabili ragioni. Intervenni con il mio solito spirito critico e mi permisi di proporre al vescovo di rendere credibile l’iter, rientrando dalla sua decisione e ricominciando a discutere comunitariamente della questione. Niente da fare, perché era stato voluto “così colà dove si puote ciò che si vuole” e fummo tutti invitati a “più non dimandare”. Don Magri fece le valigie.

Faccio un salto di alcuni anni e vado al 2008, alla parrocchia di Santa Cristina ed al suo parroco, don Luciano Scaccaglia di cui ero diventato amico e grande estimatore. Questo “pretaccio” era in odore di trasferimento, forse (?) dettato da intenti punitivi, in base ad una logica normalizzatrice: ci puzzava di svolta autoritaria contro il prete di frontiera… Lo difesi pubblicamente, non per gusto polemico contro la gerarchia locale, ma per convinzione. In quel caso la questione finì, anche per merito della vivace reazione della comunità a lui molto legata, con la permanenza di don Scaccaglia seppure quale sorvegliato speciale.

Non so dire perché le due vicende così simili finirono in modo così diverso. Non voglio andare oltre. Mi preme soltanto sottolineare come il 31 gennaio 2023 sia entrata in vigore la nuova costituzione apostolica “In Ecclesiarum Communione” di papa Francesco, che prevede una nuova procedura per la nomina dei parroci, con tanto di preciso discernimento sulla situazione della parrocchia e di coinvolgimento collegiale anche del Consiglio pastorale. Come scrive Dario Valli in una interessante lettera al mensile Jesus, “la vera novità è espressa in quattro parole, dove si dice che il vescovo dovrà «ascoltare il Consiglio pastorale», vale a dire i laici, i rappresentanti dei fedeli. Una novità messa per iscritto dal Papa per la sua diocesi, che altre Chiese locali dovrebbero prendere in seria considerazione. Invece fino ad oggi, generalmente, il trasferimento di un parroco e la nomina del suo successore sono stati avvolti nel più stretto riserbo clericale e la comunicazione ai fedeli viene data sempre e solo a cose fatte. Che il popolo di Dio possa esprimere un parere sulle necessità della comunità parrocchiale sembra un buon passo verso una Chiesa più normale”. Evidentemente non ero un eretico negli anni ’70 del secolo scorso e nemmeno nei primi anni di questo secolo, anche se qualcuno a diversi livelli mi ha considerato e mi considera tale. Me ne vanto! Ebbene forse potrei dire che in materia di nomina dei parroci, così come da me indirettamente vissuta o, per meglio dire, subita, papa Francesco mi sta dando ragione. Una piccola soddisfazione, anche se bisogna andare piano nelle curve curiali. Troveranno sicuramente il modo di giubilare le nuove disposizioni papali, puntando magari tutto su laici bigotti e più clericali dei preti. Ma non sarà poi così facile.

Morto un papa, seppur emerito, cambia la Chiesa?! Forse potrebbe succedere proprio che, paradossalmente, l’evento scatenante nostalgie passatiste diventi invece il punto di rottura verso un futuro imprevedibile quanto rivoluzionario. La morte di Joseph Ratzinger, checché se ne dica, costringe la Chiesa a voltare pagina, andando addirittura ben oltre le già importantissime novità introdotte da papa Bergoglio: il papa ritornerà vescovo di Roma, una sorta di primus inter pares, ben lontano dal tradizionale e infallibile tuttologo; finirà il pur affascinante e travolgente dogmatismo per lasciare spazio alla ricerca di modi nuovi di incarnare il Vangelo nella vita; i cardinali lasceranno spazio e ruolo ai vescovi, i veri interlocutori del popolo di Dio; il clericalismo verrà quanto meno ridimensionato, un po’ per necessità un po’ per virtù e sostituito da una crescente responsabilizzazione del laicato; il presbiterato prescinderà finalmente dall’obbligo celibatario; il ruolo della donna diventerà fondamentale in una Chiesa rivoltata come un calzino; l’apertura al sociale sarà sempre più la cifra caritatevole della comunità ecclesiale (la linea Bergoglio prenderà sempre più piede) ; crescerà l’insofferenza sul piano pastorale verso la rigidezza mostrata sui temi d’etica sessuale («vogliono mettere tutto il mondo in un preservativo», si dice che così commentasse Bergoglio con gli amici alla vigilia del conclave che elesse papa Ratzinger). Può sembrare il libro dei sogni di un povero cristiano, ma può darsi invece che, stranamente, l’esaltazione della tradizione, concomitante alla morte di Ratzinger, possa diventare la tomba della conservazione intesa come difesa a denti stretti del passato. L’azione dello Spirito Santo non consiste forse proprio nel buttare all’aria gli schemi? Al momento mi accontento di poco: la nuova procedura per la nomina dei parroci. Anche perché è un ulteriore (piccolo) segno che papa Francesco non vuole frenare, ma accelerare. Speriamo e preghiamo per lui.

 

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