QUEL DESIDERIO DI UNITA’ TRA CHIESA CATTOLICA E CHIESE ORTODOSSE di Laura Caffagnini

di BorgoAdmin

Ha esordito ricordando la Veglia pasquale il teologo Jean Paul Lieggi intervenendo il 17 aprile scorso nella parrocchia del Buon Pastore al ciclo di incontri organizzato dal gruppo di Parma del Segretariato Attività Ecumeniche (Sae) “Quel desiderio di unità. Le Chiese nel XXI secolo” sul tema “I dialoghi teologici tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse”. «Nella notte di Pasqua preghiamo così: “Accendi in noi il desiderio del cielo perché, rinnovati nello spirito, possiamo giungere alla festa dello splendore eterno”. Mi piace legare “quel desiderio di unità” con il desiderio del cielo. Questo mi è suggerito dalle parole di Gesù in risposta al ladro che gli chiede “Ricordati di me quando entrerai nel tuo Regno: “Oggi sarai con me in paradiso”. Stare in paradiso significa anche stare con Gesù e questo è vero sempre. Mi piace pensare il desiderio di unità insieme al desiderio di cielo. Gesù ha detto: “dove state insieme riuniti nel mio nome sto io”. Per stare con lui è necessario lavorare per la costruzione dell’unità. Siamo consapevoli che l’unità per la quale dobbiamo spenderci non è solo quella tra le denominazioni, ma anche tra di noi Chiesa cattolica, e ci sono anche unità più ampie di quelle tra i cristiani».

Una pluralità di tradizioni

Presbitero dal 1992, direttore dell’Ufficio ecumenismo e dialogo dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto, membro del direttivo dell’Associazione Teologica Italiana e socio corrispondente della Pontificia Accademia di Teologia, Lieggi ha iniziato la sua relazione spiegando la configurazione plurale delle Chiese Orientali. Tenendo come base il sito del Dicastero pontificio per la promozione dell’unità dei cristiani, ha sfatato molti luoghi comuni e curato la generale ignoranza sul tema.
«Innanzitutto gli aggettivi orientale, ortodosso e bizantino non sono sinonimi. Alle Chiese orientali appartengono cinque tradizioni: bizantina, alessandrina, antiochena occidentale e orientale, armena. Tra le Chiese orientali ce ne sono di ortodosse e di cattoliche. La Chiesa cattolica ha relazioni bilaterali con le Chiese ortodosse di tradizione bizantina, con le Chiese ortodosse orientali, con la Chiesa assira d’Oriente e ci sono tre Commissioni miste internazionali di cui quella per il dialogo teologico della Chiesa cattolica con le Chiese orientali celebra nel 2024 il XX anniversario». Il docente ha citato per titoli i documenti della Commissione mista cattolica-ortodossa e le dichiarazioni cristologiche comuni, e ha ripercorso tappe dei Concili ecumenici – Efeso e Calcedonia – che hanno visto separazioni tra cristiani e la nascita di nuove denominazioni orientali fino ad arrivare al 1054 anno dello scisma tra Roma e Costantinopoli. Il docente ha sottolineato l’importanza di chiamare le chiese attraverso la loro denominazione: «I nomi delle chiese per me sono persone. Dobbiamo usare il plurale». Ciò che distingue le Chiese è il rito che non è solo un fatto liturgico ma, come recita il Canone 28 paragrafo 1 dei Canoni delle Chiese orientali, è «il patrimonio liturgico, teologico, spirituale e disciplinare distinto per cultura e circostanze storiche di popoli, che si esprime in un modo di vivere la fede che è proprio di ciascuna chiesa sui iuris».  Lieggi è entrato nel dettaglio di tre frutti del dialogo teologico cattolico-ortodosso: le dichiarazioni cristologiche comuni, il riconoscimento dell’anafora di Addai e Mari e i lavori della Commissione mista internazionale per il dialogo tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme.

 La diversità come ricchezza

Il power point di cui il relatore si è servito ha mostrato testi e immagini dell’incontro ecumenico di preghiera e riflessione del 7 luglio 2018 a Bari vissuto da papa Francesco insieme ai patriarchi e ai capi delle Chiese del Medioriente. «Era la prima volta dopo il 431 che le Chiese ortodosse si trovavano insieme. Francesco ha tenuto un discorso sulla pace che rifletteva la condivisione vissuta tra loro. Qui ci sono tante cose che non riguardavano solo l’essere costruttori di pace, ma molte preziose indicazioni che servono per ricostruire l’unità». Il Vescovo di Roma, ha sottolineato il relatore, «ha affermato nel suo discorso che anche il nostro essere chiesa è tentata dalle logiche del mondo, di potenza e di guadagno. Mai è successo nella storia delle separazioni nella Chiesa che in gioco ci fossero pure questioni teologiche. C’è il nostro peccato, c’è l’incoerenza tra la fede e la vita che oscura la nostra testimonianza. Ricordiamoci che il movimento ecumenico è nato grazie ai missionari che si chiedevano: “Con che coraggio diciamo Gesù è uno e ci vuole bene se noi siamo divisi?».
Lieggi ha continuato dicendo che l’incontro e l’unità vanno cercati sempre senza paura della diversità. «La bellezza dei dialoghi teologici che stiamo vivendo è riuscire a dire che se siamo diversi nel dire la fede non significa che non abbiamo la stessa fede. Ci può stare la diversità senza che sia divisione. Anzi quando riesco a vivere in maniera unita la diversità è ricchezza. Non dobbiamo avere paura della diversità. I Dialoghi teologici non servono per uniformare ma per cogliere che le diversità non sono necessariamente motivo di divisione. Nel dialogo teologico la prima cosa che si deve fare è accogliere le ragioni altrui».

Le formule non sono assolute

Esaminando autorevoli documenti firmati dalla Chiesa cattolica con Chiese ortodosse orientali che non hanno accettato le affermazioni dei Concili di Efeso e di Calcedonia il docente ha mostrato la necessità di relativizzare la terminologia: «Non c’è nessuna parola, nessun concetto che possa avere la pretesa di dire la fede tutta. Ogni parola e ogni concetto dice la fede da una prospettiva. Se io mi metto nelle ragioni per le quali l’altro ha detto le cose in maniera diversa da me potrò riconoscere che non è la sua fede che è sbagliata. Questo risultato mi aiuta a relativizzare le formule. Non esistono formule assolute che dicono il mistero».
Nel dialogo cattolico-ortodosso, ha detto Lieggi, «ci sono stati momenti caldi e freddi. A volte i fatti sono più forti dei dialoghi. Nel giugno 2024 a Bari si discuterà di un nuovo documento». In conclusione la lettura di un passo del discorso di papa Francesco a Sua Santità Tawadros II, papa d’Alessandria e capo della Chiesa ortodossa copta: «Nel cammino ecumenico è importante guardare sempre avanti. Coltivando nel cuore una sana impazienza e un ardente desiderio di unità, dobbiamo essere, come l’Apostolo Paolo “protesti verso il futuro” e chiederci continuamente Quanta est nobis via? – Quanta strada ci resta da fare? Tuttavia occorre anche fare memoria, soprattutto nei momenti di scoraggiamento, per rallegrarci del cammino già percorso e attingere al fervore dei pionieri che ci hanno preceduto. Guardare avanti e fare memoria. Eppure, è senza dubbio ancora più doveroso guardare in alto, per ringraziare il Signore dei passi compiuti e supplicarlo di farci il dono della sospirata unità». Il terzo incontro del secondo ciclo sull’ecumenismo organizzato dal Sae di Parma con l’adesione di Consiglio delle Chiese cristiane, Azione Cattolica, Famiglia Saveriana, Meic, Viandanti si terrà martedì 14 maggio alle 20.45 alla Chiesa metodista in borgo Giacomo Tommasini 26. Interverrà sul tema “I dialoghi tra cattolici e pentecostali. A che punto siamo?” il docente Carmine Napolitano, preside della Facoltà pentecostale di Scienze religiose, già presidente della Federazione delle Chiese Pentecostali, pastore della chiesa pentecostale di Cicciano (Napoli).

 

 

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