IL CODICE DI CAMALDOLI E IL RITORNO DEI CATTOLICI di Giorgio Campanini

di BorgoAdmin

Gli ottant’anni del “Codice di Camaldoli” – il documento programmatico dei cattolici elaborato in quel Monastero nell’estate del 1943 – sono stati a più riprese ricordati e celebrati per una sua duplice rilevanza: da un lato per sottolineare l’importanza del “ritorno alla politica” che nell’eremo toscano venne decisa e programmata a pochi giorni dai distanza da quell’8 settembre che sanzionò la fine dell’era fascista; e dall’altra per porre le premesse di una nuova “discesa in campo” dei cattolici italiani. Molta acqua è passata sotto i ponti della politica italiana dalle giornate nelle quali erano state poste nell’agosto del 1943 le premesse per un radicale rinnovamento della politica dopo i disastri del fascismo ed una guerra che si sapeva perduta; ma qualcosa di quella eredità permane e non è un caso che a quel Codice, pure un poco ingiallito, si sia voluto fare riferimento da parte di qualificati esponenti del cattolicesimo italiano.

Che cosa lega il testo – lucido e vivace, sia pure ocn alcuni limiti dovuti alla ristrettezza dei tempi – elaborato 80 anni fa nella silenziosa e periferica Abbazia camaldolese con la nuova stagione che l’Italia sta vivendo a seguito dell’andata al potere di forze conservatrici non propriamente nostalgiche del fascismo ma in ogni modo decisamente orientate a destra? La risposta è evidente: come nel 1943 di fronte al fascismo, così oggi di fronte al ritorno della destra si impone, da parte dei cattolici democratici, un radicale ripensamento della propria collocazione negli scenari della politica italiana: se allora era necessario riguadagnare la libertà, oggi si tratta di rifondarla e arricchirla in modo da aprire nuove vie alla presenza dei cattolici nella società italiana. Sarebbe ingiusto paragonare al fascismo il neo-conservatorismo che da qualche tempo ha occupato le stanze del potere; ma non si può non constatare che la svolta a destra che si è da alcuni mesi realizzata nel Paese pone ai sinceri sostenitori di una democrazia politicamente e socialmente avanzata non pochi e tutt’altro che semplici interrogativi, primo fra tutti quello riferito alla situazione politica attuale: dove va la democrazia? Al tempo del Codice di Camaldoli era chiaramente percepibile, nelgi anni del fascismo, la scelta tra totalitarismo e democrazia, Oggi il pericolo di un declino del sistema democratico è fortemente esorcizzato da una Costituzione non a caso redatta in parti rilevanti proprio dagli studiosi di Camaldoli, da Dossetti a La Pira) che stabilisce garanzie e “paletti” non modificabili se non attraverso un vero proprio “colpo di stato” nell’attuale situazione e fortunatamente impensabile. Il fatto che sia in gioco – anche grazie alla presenza al Quirinale di un gande e convinto difensore del sistema democratico – il futuro della democrazia non esclude tuttavia che essa sia attualmente esposta a non pochi rischi: non propriamente un assalto frontale, ma un’aggressione marginale e strisciante di cui appaiono espressioni manifeste l’atteggiamento verso gli stranieri e l’inclinazione a trasformare l’attuale sistema politico in una sorta di oligarchia. La storia sta a dimostrare come la democrazia, forma di governo strutturalmente fragile e bisognosa, continuamente, di revisione e di sostegni, non possa mai essere considerata come una acquisizione definitiva. E’ forse necessario, quindi, una sorta di nuovo “Codice di Camaldoli” per far fronte alle sfide poste alla democrazia da una società, quella italiana, che appare non immune da tentazioni autoritarie. Ieri, a Camaldoli, bisognava fare i contri con il fascismo per ritornare alle libertà democratiche; oggi si tratta di rinnovare e di rinvigorire una democrazia, che benché saldamente difesa dalla Costituzione, viene di fatto corrosa nella vita comune di cittadini. Sotto questo aspetto non deve essere sottovalutata la tendenza a disertare le urne in occasione di elezioni che, nonostante tutti loro limiti, hanno, o dovrebbero avere, il potere di chiamare a raccolta i cittadini quando si tratta di decidere con il voto il futuro del Paese. Che circa metà della popolazione diserti le urne è un fatto inquietante sul quale i sinceri democratici dovranno riflettere. Gli estensori del Codice di Camaldoli non vedevano l’ora, tramontato Mussolini, di “ritornare alle urne”; molti italiani di oggi sono invece assenti dal voto, non interessati alla politica, disponibili ad un “Capo” che pensa ed agisca per tutti e “lasci tranquilli” i cittadini.

80 anni dopo, dunque, ritornare a Camaldoli significa avere il coraggio di riflettere sulla “buona salute” della democrazia per valutare quali innovazioni debbano essere introdotte nella vita politica e nell’azione di governo; su questo punto molte indicazioni del Codice di Camaldoli sono ancora meritevoli di attenzione, Non si tratta ovviamente di risuscitarlo (la storia non torna mai indietro) ma di assumersi tutta intera la responsabilità e la fatica di pensare al futuro della democrazia. Era questo il problema principale che gli uomini di Camaldoli hanno dovuto affrontare 80 anni fa, ma che si ripropone, in forme mutate, in quello che è ormai un tessuto sociale fortemente tentato da svolte autoritarie.

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