UN PRETE DI NOME DOMENICO  di Pietro Bonardi

di BorgoAdmin

 Questa è un’opera che deve in suo ingresso nella storia culturale della Chiesa e della comunità civile di Parma alla pazienza ed alla tenacia di Marco Valenti che non si è lasciato scoraggiare da una micidiale concatenazione di avversità: la comparsa delle insidie del covid che ha portato al blocco improvviso del cammino verso la stampa del volume già impaginato, poi l’aggravarsi progressivo delle sue condizioni di salute e la scomparsa del più qualificante sostegno dell’impresa quale è stato don James Schianchi, deceduto inopinatamente il 18 settembre 2023, e poi la chiamata senza appello che è giunta anche per Marco il 17 aprile 2024. A questo punto si è innescata la reazione di un’ulteriore amicizia seminata e cresciuta grazie a don Domenico, quella di Luigi Vignoli, instancabile nel cercare appoggi anche finanziari per vedere giungere in porto la testimonianza di un qualificato esponente della Chiesa parmense preconciliare e postconciliare, ed infine la generosità affettuosa e riconoscente della sposa di Marco, signora Maria Nidi. E che cosa offre questo volume? Pensiero e opere dell’uomo-prete don Domenico Magri nato a Calestano il 31 luglio 1931 e morto a Parma in medicina d’urgenza domenica 16 settembre 2018, dopo esservi stato ricoverato il 3 dello stesso mese. Le ragioni dell’autobiografia le aveva, con sottile autoironia, confessate a Pietro Bonardi scrivendogli il 10 gennaio 2018: “Caro Pietro, lo confesso: sono un grafomane! Ho iniziato a scrivere una specie di autobiografia e sono arrivato, per adesso, alle soglie della mia ordinazione sacerdotale. Non so perché l’ho fatto… ma l’ho fatto. Magari resterà come testimonianza solo per qualche amico benevolo e curioso di sapere qualcosa di più sul mio conto. Un’altra volta si era, compiacentemente, autoaccusato di essere affetto da “vanità senile”, perché sentiva irresistibile il desiderio e poi il bisogno di lasciare memoria di sé, dei suoi famigliari e di molti di coloro (preti, laici o religiose) con i quali aveva avuto rapporti di amicizia o di semplice collaborazione. Come segno tangibile di quella “vanità” metteva appunto l’autobiografia, rimasta incompleta, ferma com’è al “10 giugno 2014 – ore 16.53”. Ad accompagnare, però, il lettore ben oltre quella data è la serie di 34 appendici più una raccolta di commenti all’ultima opera dello stesso don Domenico, dedicata al fratello Ugo ucciso in Germania, ed una sua relazione sul postconcilio del 17 aprile 2018, pochi mesi prima della morte. Venendo alle vicende della sua vita di uomo-prete,  simpatico è il racconto della quasi miracolosa genesi della sua vocazione sacerdotale: “Era un pomeriggio freddo, in cortile stavo giocando con i miei coetanei. Mia mamma chiamava perché salissi in casa, ma io ho disobbedito e ho continuato a giocare. Conclusione: una polmonite che mi ha ridotto in fin di vita. Mi è stato detto che stavo ormai diventando freddo. Mia mamma, angosciata e piena di fede, si è gettata in ginocchio davanti al quadro del Sacro Cuore facendo più o meno, da quanto mi è stato detto, questa preghiera: “O Signore, se mi salvi il bambino lo offro a te per tutta la vita”. Detto fatto: sono diventato prete!” e lo è diventato con la stoffa del nonno Domenico, grande imprenditore: ed ecco, per la sua coraggiosa tenacia, nascere, come gemmazione della millenaria parrocchia di Ognissanti, le strutture materiali e spirituali delle parrocchie di Santa Maria del Rosario, di San Pellegrino e di San Marco. Ma questi sono traguardi preceduti dalle tappe dell’ordinazione sacerdotale il 20 giugno 1954, della cappellania a Fornovo e, il 2 marzo 1958, dell’ingresso in Ognissanti accompagnato da mons. Evasio Colli che all’omelia lo ha brillantemente presentato così: “Vi ho portato un parroco che ha un grosso difetto… è troppo giovane, ma non preoccupatevi, perchè è un difetto da cui si guarisce giorno per giorno!”. Tre giorni dopo, il neoparroco è già in cammino per la benedizione delle case e, “come dice oggi il Papa Francesco, è stata per me una occasione per ‘sentire l’odore delle pecore’”. Ben presto prende il via il lavoro per la costruzione di una nuova chiesa nella nuova periferia a sud di Ognissanti ed il 4 ottobre 1959 avviene la posa della prima pietra di quella che il 30 settembre 1962 diventa ufficialmente la parrocchia di Santa Maria del Rosario. Felice e proficuo è il dinamismo della nuova comunità permeata di spirito conciliare da “popolo di Dio”, ma non più incline ad una supina accettazione dell’autorità della gerarchia. Non è quindi strano che avvenga una specie di scisma quando mons. Pasini, per suoi non errati calcoli pastorali, nella primavera del 1978 decide di chiedere a don Domenico di accettare il trasferimento a Langhirano. Il Consiglio Pastorale interparrocchiale (una novità assoluta introdotta da don Domenico) di Ognissanti, Santa Maria del Rosario e San Marco si mostra, con virulenza, ostile alla richiesta del Vescovo, ma don Domenico non vien meno al voto d’obbedienza e si insedia a Langhirano, però, con un misto di disappunto e di autoconsolazione, annota: “Devo ancora capire perchè nessuno da Parma (Vescovo, Vicario, ecc.) mi ha accompagnato a Langhirano per insediarmi nella mia nuova Parrocchia secondo il consueto rituale liturgico. Ma non mi sono presentato da solo. Sono venuti a Langhirano per l’occasione tanti amici da Parma e sono venuti i miei (ex) cappellani”. Mons. Pasini aveva pensato di trasferirlo a Langhirano, per potere attuare il progetto di un Congresso Eucaristico diocesano che in effetto si è svolto con strepitoso successo dal 3 all’11 maggio 1980. Passano due Vescovi (mons. Pasini 1966-1981 e mons. Benito Cocchi 1982-1996) ed arriva l’”alpino” Cesare Bonicelli che pensa a don Domenico per un incarico pastorale un po’ defilato: nel 2002 lo nomina canonico della Cattedrale così, trasferendosi a Porporano, può dirigere l’Opera Diocesana San Bernardo degli Uberti con la cura in particolare dei preti anziani, e qui don Domenico dispensa cordialità con sorrisi sinceri, comprensione e condivisione per i disagi e le sofferenze, non solo degli anziani ma anche degli operatori e delle operatrici non meno bisognosi di incoraggiamento. Però, proprio in questo ruolo gli capita di entrare in conflitto con il Vescovo, con Bonicelli prima e con Enrico Solmi da ultimo, che tra l’altro nel 2013 gli toglie la presidenza dell’Opera San Bernardo. Ed è in queste circostanze che don Domenico sfodera una specie di parresìa, cioè di libertà di parlare francamente come San Paolo, nella sua lettera ai Galati (2,11), dice di avere fatto con Pietro: “quando Pietro venne ad Antiochia, io mi opposi a lui apertamente perché aveva torto” ed aveva torto perché evitava i convertiti che non erano ebrei. Più volte, predicando ritiri ai confratelli, don Domenico aveva denunciato e condannato “la piaga della incomunicabilità e della non-comunione con il Vescovo. Alle volte non lo trattiamo neppure con il rispetto che si deve a un uomo e alla sua dignità”, però “Questo non vuol dire che si debba fare finta che non ci siano difficoltà di rapporto interpersonale ed ecclesiale nei confronti del Vescovo. Ma le difficoltà non potranno mai essere un motivo per mettersi contro il Vescovo come atteggiamento premeditato e sistematico”. Ricordava di avere avuto con Mons. Cocchi “qualche scontro ‘scontro’ (faccio per dire!), ma sempre con molto amore. Una volta tra il serio e il faceto, è perfino sbottato così con me: “Se lei fosse stato a Damasco al posto di San Paolo, si sarebbe convertito il suo cavallo non lei”. Con Solmi non ha avuto molti incontri ed allora confessa: “Purtroppo ho molti difetti (non è una notizia clamorosa!) e fra questi ho il maledetto gusto della battuta, che alle volte viene male interpretata e peggio riferita, forse anche al Vescovo. E posso fare anche la figura di un prete pericoloso per la incolumità diocesana. Ma no! Sono un povero vecchio prete, che cerca di finire i suoi giorni, qui a Sant’Ilario, nel modo più dignitoso e fedele possibile, adesso come responsabile e guida e poi alla fine come semplice ricoverato: non mi illudo!” Come si è visto, ha chiuso il suo cammino terreno all’ospedale non a Villa Sant’Ilario in mezzo ai preti che aveva servito con amorevole dedizione. E tuttavia ha lasciato per tutti una limpida testimonianza dell’ottimismo che l’ha sorretto lungo gli 87 anni della vita: “non ho mai perso la gioia di vivere come uomo e come prete: mi pare di poter dire, secondo la frase di Papa Francesco, di aver avuto sempre e comunque “il coraggio di essere felice.

Vita e vicende di un prete di nome Domenico, a cura di Marco Valenti, con prefazione di don James Schianchi e postfazione di Pietro Bonardi, Edizioni Graphital, Parma, 2024, pp. 216 Il volume può essere acquistato presso le librerie “Fiaccadori” e “Mondadori- Eurotorri”

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