«Chiesa oggi» e la Sacrosantum Concilium

di BorgoAdmin

Lunedì 13 febbraio 2012 alle ore 20.45 presso la Sede del Borgo -Via A. Turchi, 15, si terrà il 2° incontro su  « Il Concilio a Parma tra memoria e profezia», dedicato alla Costituzione conciliare sulla Liturgia SACROSANCTUM CONCILIUM. Relatore sarà don Guido Pasini – direttore dell’Ufficio liturgico diocesano.

Come utile contributo all’approfondimento di questo tema pubblichiamo un documento sulla Messa domenicale elaborato alcuni mesi fa dal gruppo « Chiesa oggi », formato da alcuni laici della nostra città, che si pone tra l’altro di promuovere un lavoro di approfondimento, a partire dal Concilio, per andare alle fonti dell’ essere credenti ed essere comunità ecclesiale, mettere a fuoco la situazione culturale e socio-religiosa in cui oggi ci muoviamo e tentare quindi di attualizzare, teoricamente e praticamente, i valori della koinonia, della sinodalità, del dialogo, della missionarietà e dell’ecumenismo.

Sulla Messa

1.Il tema scelto è la celebrazione domenicale dell’eucarestia: l’eucarestia che fa la Chiesa e che è incontro con Dio e con gli uomini, mistero, fonte di comunione, servizio, testimonianza, missione. In quanto tale, l’eucarestia è e soprattutto può diventare il più efficace strumento di trasmissione della fede.

2.L’essere e il vivere di ogni chiesa particolare dipende da come celebra e vive l’eucarestia. La celebrazione dell’eucarestia domenicale dovrebbe perciò riproporre – come è detto nella lettera-invito, sulla base di Lc 22,25 – forme e modi alternativi a quelli del potere e potrebbe diventare, grazie alla sua struttura (confessione dei peccati, ascolto della Parola di Dio, sua attualizzazione, lode e impetrazione, esperienza di conversione e comunione, invio al mondo)  fondamento e modello di quella sinodalità che vorremmo attuare. Cfr.  “Sinodo come liturgia” di G.Alberigo (scritto pubblicato postumo su Regno- Documenti 13/2007).

3.L’eucarestia – istituita in una grande sala, al piano superiore (Mc 14,15; Lc 22,12), in un significativo isolamento – è celebrata dai soli credenti. In essa e da essa essi traggono la forza di vivere la fede e incontrare gli uomini. Li incontrano, da concittadini, nel mondo. Tra i due momenti – quello eucaristico e quello civile e politico – non possono esservi commistione e confusione (cfr. anche Lettera a Diogneto).  Per questo è profondamente sbagliato (anche se è facile rintracciarne le radici e le motivazioni storiche) continuare a celebrare messe alle quali «assistono» autorità, drappelli con bandiere, ecc. – , in occasione di ricorrenze, feste tradizionali, ecc.. A Messa si va come fedeli, in quanto fedeli, non per assistere ma per celebrare. La Messa non è una cerimonia ma una celebrazione. Le due cose non sono compatibili. Le cerimonie commemorative possono benissimo svolgersi con la presenza e la partecipazione del sacerdote (o del vescovo) ma non debbono sovrapporsi alla Messa. Il problema è serio e difficile da districare. Pensiamo a quello che accade in occasione di funerali, matrimoni, ecc. Ma quello che è in gioco è il giusto rapporto tra comunione ecclesiale e partecipazione civile. E’ necessario porre il problema e studiare forme adeguate di soluzione.

4.La distinzione fra momento eucaristico e momento civile e politico indica chiaramente che la Messa non è un rito sociale, un modello di comportamento, una abitudine contratta nel tempo e seguita passivamente. La Messa è un evento assoluto, una realtà inaudita, incontro e mistero. Questo deve indurre i credenti a vivere la Messa come occasione di conversione, di mutamento, di nuova direzione da dare alla loro vita. Vi è da chiedersi: Come usciamo dalla Messa? Come ne siamo trasformati? A che cosa e come siamo inviati? Che cosa possiamo fare per accogliere e rendere operante la forza che viene dall’Eucarestia? Anzitutto alcune cose molto semplici, per restituire ai momenti fondamentali della celebrazione il loro significato:

*Costituzione dell’assemblea – Costituire l’assemblea come comunità vivente reale attraverso saluti fraterni, accoglienza reciproca, accoglienza di Dio, di Cristo e del suo mistero;

*Inizio e confessione dei peccati – Non si può iniziare la celebrazione senza riconoscerci peccatori e metterci nella giusta lunghezza d’onda per accogliere il Signore che ci convoca. Ci piacerebbe pertanto che la messa iniziasse con la lettura di alcuni testi evangelici che aiutino, nell’esame che facciamo di noi stessi e dei nostri comportamenti, a considerare l’invito al perdono reciproco, ad una preghiera non formale, ad una pratica sostanziale della carità. Ad esempio: Mc 11,25; Mt 6, 23 – 24; Mt 6, 7 – 8; Mt 7, 21; Mt  25, 34-36 e/o le beatitudini … E ci piacerebbe che ci fosse un tempo sufficiente per riflettere (cioè qualche minuto) e che il Confiteor, magari riscritto tenendo conto dei testi evangelici predetti, fosse sempre recitato da tutta l’assemblea.

*Ascolto della Parola  –  dare piena evidenza alla Parola, proclamandola con la massima cura, ascoltandola (non leggendola) e meditandola.

*Omelia  –  fare dell’omelia un dialogo con Dio che passi attraverso il dialogo con i fratelli e prenda coscienza della realtà locale e di quella mondiale; la tenga il sacerdote o, come sempre più spesso avverrà, religiosi e laici, uomini e donne – potrebbe essere oggetto di riflessioni comuni nei giorni precedenti e successivi alla celebrazione; non tanto per raccogliere le idee di un gruppetto di persone, ma quanto per cercare, attraverso loro e con metodi adeguati, di raccogliere osservazioni, attese, ecc. dei partecipanti all’assemblea

*Preghiera dei fedeli – Saremmo  dell’opinione di sopprimerla, e con essa, sopprimere tutti quegli accenni che rinviano ad una concezione di “Dio tappabuchi” che interviene sui singoli problemi; e sopprimere soprattutto gli accenni che rinviano ad una concezione (idolatrica) di un Paradiso affollato di santi e beati in attesa di fare da “avvocati” per questa o quella causa. In alternativa, andrebbero valorizzate di puù le cosiddette “collette”.

*Ite, Missa est … Rivaluteremmo anche la parte finale, come quella iniziale (il che non significa una Messa più lunga, perché si possono calibrare le parti); l’annuncio degli impegni della comunità – soprattutto quelli aperti verso tutta la società: azioni caritative, iniziative di dialogo, di confronto, ecc. – dovrebbe essere visto come prolungamento della Messa..

1.Ci pare evidente che non può esistere un unico «modello» per la celebrazione della Messa; popoli diversi per cultura, tradizioni, condizioni sociali, ecc., debbono potersi esprimere in forme diverse (ed in evoluzione). In alcune situazioni è opportuno dare spazio alla corporeità, all’affettività, ai gesti, ai canti, allo spirito di festa e in genere ai simboli, –  mentre in altre occorre fare attenzione che calcando troppo sul simbolo (e con tutto quanto lo veicola) il simbolo finisce per sostituire la realtà: amiamo il prossimo perché abbiamo cantato insieme, ci siamo stretti la mano, ecc. In sostanza, occorre evitare di dare spazio solo alla corporeità, ma anche di non darle spazio.

2.A nostro avviso una attenzione specialissima – in relazione alla situazione attuale della chiesa, ai suoi rapporti con il potere, al disagio che sentiamo in essa e per essa – può essere data, a partire dalla recita del Pater,  al chiedere e dare la remissione dei debiti. Il problema del perdono reciproco  – che non toglie i debiti  (peccati, mancanze, o tradimenti che siano) ma ristabilisce la comunione – è, probabilmente, uno dei problemi oggi più urgenti per il rinnovamento della Chiesa.

3.Infine ci sembra importante procedere ad una attenta e coraggiosa revisione del linguaggio  –  Ci rendiamo conto che si tratta di problemi delicati, ma ci chiediamo, ad esempio:  Perché invocare la «potenza e la gloria», espressione che  nel linguaggio corrente ha un significato assolutamente lontano da quello inteso dai testi biblici da cui deriva? Perché non usare formulazioni più vicine alla capacità di comprensione e alla sensibilità della gente comune?       E perché continuare a trasmettere una visione temporalista della vita futura?  Lo stesso Benedetto XVI, nella Spe salvi 12, ha criticato questa visione: «Possiamo soltanto cercare di uscire col nostro pensiero dalla temporalità della quale siamo prigionieri e in qualche modo presagire che l’eternità non sia un continuo susseguirsi di giorni del calendario, ma qualcosa come il momento colmo di appagamento, in cui la totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità. Sarebbe il momento dell’immergersi nell’oceano dell’infinito amore, nel quale il tempo – il prima e il dopo – non esiste più. Possiamo soltanto cercare di pensare che questo momento è la vita in senso pieno, un sempre nuovo immergersi nella vastità dell’essere, mentre siamo semplicemente sopraffatti dalla gioia».

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