GIORGIA E LA SINDROME DI ANNIBALE   di Riccardo Campanini

di Riccardo Campanini

“Vincere scis, Hannibal, victoria uti nescis” (“Sai vincere, Annibale, ma non sai sfruttare la vittoria”).

Questa celebre espressione, che Tito Livio mette in bocca ad un generale cartaginese, risale a più di 2000 anni fa, ma può benissimo essere applicata, cambiando naturalmente il nome del destinatario, anche ai vari leaders politici che nell’ultimo decennio hanno dapprima conseguito un grande trionfo elettorale per poi dilapidare rapidamente il consenso ricevuto (inutile ricordarli, li conosciamo tutti). Si può naturalmente disquisire se questo repentino calo di popolarità sia dovuto ad un eccesso di attese da parte degli elettori, o se a sua volta questa delusione sia stata causata da promesse esagerate e quindi irrealizzabili, ma la sostanza che alla fine conta è quella di carriere politiche tanto sfolgoranti quanto effimere. Avverrà la stessa cosa con Giorgia Meloni? E’ quanto si chiedono in molti, alcuni – gli amici – facendo i debiti scongiuri, altri – gli avversari, che non sono solo quelli “dichiarati” –prevedendo e anzi auspicando un’ingloriosa conclusione della fulminea ascesa della Presidente di Fratelli d’Italia. Il contesto, va aggiunto subito, non è proprio dei più favorevoli, per usare un eufemismo: la guerra in Ucraina e i conseguenti effetti negativi sull’economia e sulle bollette, la probabile tiepidezza degli alleati di governo – usciti sconfitti dalle elezioni di domenica e quindi desiderosi di rivincita in termini di visibilità e di “peso” nel nuovo governo -,la diffidenza degli ambienti internazionali, sia politici che finanziari, rispetto ad un’esperienza, del tutto inedita, di un governo apertamente di destra, sono sono alcuni degli scogli che il futuro governo Meloni dovrà affrontare – senza contare il “fattore tempo”, che, come dimostra appunto la storia recente, è decisivo nel decretare il tramonto dei leaders incapaci di portare subito a casa risultati all’altezza delle aspettative.

A questo proposito, se è lecito dare consigli ai futuri governanti, almeno un paio di suggerimenti sembrano particolarmente opportuni, anzi necessari. Il primo si riferisce alla più volte dichiarata volontà di mettere mano alla Costituzione dando alla nostra forma di governo un carattere presidenzialista.  In questo caso il consiglio è di procedere con prudenza, coinvolgendo l’opposizione (e ricorrendo anche alla consulenza di esperti) in una materia così delicata e decisiva per la stessa tenuta del sistema democratico. Al contrario, modificare a colpi di maggioranza il funzionamento e gli equilibri degli organi di governo (oltretutto senza disporre dei 2/3 dei voti nelle assemblee parlamentari) provocherebbe una fortissima spaccatura nel Paese e rinfocolerebbe le accuse e i sospetti circa i rischi un’involuzione autoritaria della nostra democrazia. Il secondo consiglio, che idealmente si ricollega al primo, è relativo alla salvaguardia dell’eredità antifascista – che, come noto, è a fondamento della nostra Costituzione – contro ogni tentativo revisionista. Non è un segreto che il partito della Meloni abbia più volte manifestato simpatie o addirittura ammirazione per l’esperienza delle Repubblica di Salò e per i suoi militanti, ma ora che a Fratelli d’Italia si spalancano le porte del governo queste tentazioni nostalgiche vanno messe da parte, accettando definitivamente l’idea che la Resistenza non fu la lotta di una parte contro un’altra, ma il riscatto dell’intera Nazione dopo gli abissi della dittatura, delle leggi razziali e della guerra. Da questo punto di vista è significativo ed eloquente il fatto che proprio mentre in Italia una nota cantante si rifiutava di cantare “Bella ciao” – chissà se per ignoranza o per opportunismo – nel lontano Iran la stessa canzone venisse intonata (in lingua persiana) da una ragazza come espressione di libertà e di lotta all’oscurantismo e alla discriminazione. Non è insomma necessario definirsi “cristiana”, come la Meloni non manca di evidenziare in tante occasioni, per desiderare la libertà e lottare per conquistarla: in questo anelito siamo davvero tutti fratelli (e sorelle), non d’Italia ma del mondo.

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