PACE, CURA DEL MONDO, FRATERNITÀ SEMPRE PIÙ INELUDIBILE IL MESSAGGIO DELLA “FRATELLI TUTTI” di Marco Ingrosso

di Redazione Borgo News

Il 3 ottobre del 2020 Papa Francesco firmava ad Assisi la sua Lettera enciclica dedicata alla Fraternità e all’Amicizia sociale, alla vigilia della festa di S. Francesco, dalle cui parole e gesti prende avvio la riflessione papale rivolta a tutti gli uomini del nostro tempo. Il secondo anniversario della lettera è stato ricordato in occasione della Giornata del dialogo interreligioso “Per la Pace nel segno di Francesco”, svolta presso l’Istituto Salesiano di Parma il 4 ottobre u.s.. Oltre a ricordare i contenuti principali della lettera, è stata presentato il volume Laboratorio Fraternità. 20 voci in dialogo con la “Fratelli tutti” (edito dall’Ass. culturale “Luigi Battei” e curato da Marco Ingrosso e Sergio Manghi) in cui venti concittadini hanno riflettuto sui temi posti dall’enciclica, riconoscendola come un evento di grande portata che coglie, insieme con la Laudato si’ uscita nel 2015, le linee di fondo e le problematiche centrali della nostra epoca.

Il titolo del primo capitolo della lettera: Le ombre di un mondo chiuso non potrebbe essere più appropriato per descrivere gli anni che stiamo attraversando e che già vengono anticipati e previsti dal Papa parlando della diffusione della “cultura dei muri” e della “terza guerra mondiale a pezzi” che da tempo si sta combattendo in centinaia di aree del mondo: «Guerre, attentati, persecuzioni per motivi razziali o religiosi, e tanti soprusi contro la dignità umana giudicati in modi diversi a seconda che convengano o meno a determinati interessi, essenzialmente economici. Ciò che è vero quando conviene a un potente, cessa di esserlo quando non è nel suo interesse. Tali situazioni di violenza vanno moltiplicandosi dolorosamente in molte regioni del mondo, tanto da assumere le fattezze di quella che si potrebbe chiamare una “terza guerra mondiale a pezzi”» (FT, § 25). La guerra Ucraina è l’ultima in ordine di tempo, ed è fra quelle che più si avvicinano ad un fratricidio, dati i rapporti storici fra il popolo ucraino e quello russo. Un popolo che vuole ammazzare e annettere l’altro per impedirne l’autonomia e la libertà! Essa però non è un conflitto locale o regionale, ma rischia di innescare una spirale estremamente distruttiva e su larga scala, oltre che ridisegnare i rapporti fra gli stati e i popoli a livello mondiale.

Ma subito dopo il Papa invoca i legami che ci legano e che dovrebbero spingerci ad unirci per far fronte ai grandi problemi comuni dell’umanità del nostro tempo: cambiamento climatico, diseguaglianze, pandemie, discriminazioni delle donne e di altri gruppi umani, uso della comunicazione digitale: «Prendersi cura del mondo che ci circonda e ci sostiene significa prendersi cura di noi stessi. Ma abbiamo bisogno di costituirci in un “noi” che abita la Casa comune.» (§ 17). La lettera prosegue proponendo la parabola del “buon samaritano” come esempio sommo di cura e fraternità. Dopo che diversi viaggiatori erano transitati lasciando il ferito-estraneo sulla strada, il samaritano «passandogli accanto, (lo) vide e ne ebbe compassione.» Un comportamento opposto a quello di Caino che non solo diventa assassino di Abele, ma interpellato dallo Spirito Creatore, risponde: «Sono forse io il custode di mio fratello?». Una frase che, in tempi di “prima noi” di stampo sovranista o liberista, è ancora molto diffusa e che anzi cavalca la storia come un angelo sterminatore!

La lettera prosegue con una riflessione sulla triade “libertà, uguaglianza e fraternità”. La modernità si è affidata ad una conflittuale alternanza di opzioni ispirate dalla libertà e dall’uguaglianza, ma ambedue cozzano con forti limiti non solo se prese unilateralmente, ma se lasciano per strada la fraternità: «La fraternità ha qualcosa di positivo da offrire alla libertà e all’uguaglianza» (§ 103). La prima è spesso degenerata in solitudine, autonomia chiusa, consumo e possesso. La seconda in mondi chiusi di soci. Tali alternative non possono preservarci «da tanti mali che diventano sempre più globali». In altre parole si tratta del bene dell’umanità che non può basarsi su un universalismo del consumo, astratto e globalizzante, ma meno che meno su mondi chiusi, diffidenti gli uni verso gli altri. E qui il Papa traccia un profilo della «politica di cui c’è bisogno» (§ 177 e segg.), ossia «dell’amore politico», del dialogo interno ai paesi e fra i vari paesi, dei «percorsi di un nuovo incontro». La pace sociale, ammonisce il Papa, è laboriosa e artigianale. A volte si tratta di comporre anche lotte legittime usando processi di guarigione sociale e di perdono (ma «senza dimenticanze!»). La guerra dovrebbe tuttavia essere bandita: «Mai più la guerra!» (§ 258) egli esclama, ma va anche abolita la pena di morte e l’ergastolo che non solo più ammissibili.

Da parte loro, le religioni devono porsi al servizio della fraternità del mondo, riconoscere che vi è «un Padre di tutti» e che siamo compagni di strada, veramente fratelli. E qui il Papa riprende l’appello alla pace, alla giustizia e alla fraternità che ha fatto con il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb (Abu Dhabi, 4 febb. 2019), ma anche con tanti altri capi religiosi mondiali (§ 285). Il documento si conclude ricordando la testimonianza di “fraternità universale” offerta nel novecento da figure come quelle di Martin L. King, Desmond Tutu, Mahatma Gandhi, Charles de Foucauld e molti altri (§ 286-287).

Il “Laboratorio” parmense, da parte sua, ha convocato soggetti di diverso orientamento e percorso ma tutti interpellati dalla forza e pregnanza della lettera papale. Molti i temi toccati: dalle diseguaglianze ai rapporti fra popoli e religioni, dal ruolo della fraternità nelle relazioni sociali e professionali di cura ai problemi dell’educazione. Il confronto è stato particolarmente rilevante sui temi della crisi di civiltà e i suoi sbocchi politico-culturali, sull’incontro fra diversi, fra uomo e donna, fra culture e religioni, sulla cura come luogo privilegiato di espressione quotidiana di rapporti fraterni. In particolare, le tante forme e pratiche di cura – comprese quelle professionali – possono trovare nell’orizzonte della fraternità un nuovo motivo ispiratore e motivatore che porta a rigeneranti forme di dialogo, aiuto e prossimità nella prospettiva di un welfare di comunità. È dunque necessario partire dai legami comuni molto forti e necessari che ormai l’umanità ha sviluppato e dalla “comunità di destino” (Edgar Morin, La fraternità, perché) che si è di fatto costituita a vari livelli nel mondo odierno (compresi quelli economici, tecnologici, energetici, comunicativi, ambientali, finanziari e, non ultimo, umanitari), riconoscendone l’inestricabile rete di reciprocità esistente e i compiti globali che attendono l’umanità. In questo senso, la fraternità non è una opzione volontaristica o élitaria, ma un compito e un orizzonte comune da costruire al più presto sfidando gli impetuosi venti contrari – apocalittici? – che stanno spirando sull’umanità.

Se osserviamo bene, già ci sono testimoni e martiri di oggi che stanno tracciando questo cammino, come la giovane Masha Amini uccisa proditoriamente in Iran in quanto donna e persona che aspirava alla libertà e fraternità. Questa brutalità sta aprendo il cuore a tanti nel suo paese e in tutto il mondo sfidando una cultura chiusa e un regime autocratico. Allo stesso modo non deve essere dimenticato Ivan Petunin – il blogger Walkie – di 27 anni che si è suicidato alcuni giorni fa in Russia per non dover essere arruolato e sparare su sconosciuti. Prima di morire ha dichiarato: «Non sono pronto ad uccidere, non posso prendere il peccato di omicidio sulla mia anima e non voglio!» Sono esempi che riportano alla mente il sacrificio di Jan Palach dopo l’invasione della Cecoslovacchia nel 1969 e il sacrificio di diversi monaci buddisti in Vietnam (1963-66) e in Tibet (2012). Questi bagliori di fraternità in un mondo sconvolto e pieno di tenebre ci indicano che la fraternità non è un’utopia o una opzione per “anime belle”, ma l’unica opzione possibile per un’umanità che voglia ritrovare la pace, affrontare le sfide globali che la minacciano, abolire la guerra come arma di risoluzione dei conflitti. È questo il compito irrinunciabile e vitale che la lettera papale pone a tutti gli uomini e le donne di questo pianeta e di questo tempo!

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