Donne e uomini nella Chiesa: nuove prospettive?

di Riccardo Campanini

Donne e uomini nella chiesa: nuove prospettive?

di Carla Mantelli

 

PREMESSE che non mi preoccupo di dimostrare:

  1. il Concilio è stato un evento che ha impostato una grande riforma della Chiesa. Sulla relazione donne uomini ha lasciato aperte le strade
  2. Papa Francesco ha riaperto la strada della riforma delle Chiesa, dopo alcuni decenni di stasi, con il suo “programma” incentrato sulla misericordia e con il suo comportamento
  3. In ogni caso: “Ecclesia semper reformanda” perché, come afferma la teologa Serena Noceti, “La riforma continua è un dato chiave dell’identità ecclesiale: se la Chiesa è il segno del regno di Dio e non è identica ad esso, è chiamata a rinnovarsi” (Militello-Noceti, Le donne e la riforma della Chiesa, EDB p30).

 

A partire da queste premesse voglio prendere sul serio l’invito espresso da Francesco nella Evangeli Gaudium al n.104: “le rivendicazioni dei legittimi diritti delle donne, a partire dalla ferma convinzione che uomini e donne hanno la medesima dignità, pongono alla chiesa domande profonde che la sfidano e che non si possono superficialmente eludere” invito che si inserisce in una continua e profonda attenzione di Francesco alla situazione delle donne e della relazione donne uomini come per esempio sintetizza Rita Torti nella voce “Donne” del Vocabolario di Papa Francesco (Carriero, LDC, p.134-140)

Quindi io vorrei svolgere qui la parte di quelle donne, pienamente inserite nella chiesa, che sfidano la chiesa e nello stesso tempo si sentono anche sfidate perché quando si parla di chiesa si parla della comunione e comunità di battezzati, non solo della gerarchia.

Avendo a disposizione 15 minuti ho deciso di dire una sola cosa che mi preme, nella piena consapevolezza che si tratta solo di un elemento in mezzo a tanti altri di cui si dovrebbe parlare.

 

Una prima osservazione: CHIESA CATTOLICA SEX GENDER SYSTEM

La chiesa cattolica (è questa di cui parliamo ed è chiaro che la chiesa non si esaurisce in essa) è una comunità/istituzione che si struttura in modo molto marcato sulla base della differenza sessuale che evidentemente è ritenuta un criterio irrinunciabile per pensare e impostare la vita ecclesiale. È stato stabilito infatti che gli uomini e solo gli uomini, in virtù del loro corpo, possano rendere presente Cristo in determinati momenti della vita ecclesiale, che solo loro possano ricevere il sacramento dell’Ordine e svolgere i ministeri istituiti, che solo loro quindi sia il potere di “insegnare governare e santificare” in modo pieno. Ruoli, funzioni e spazi, vitali per la comunità, sono riservati agli uomini.  Le donne invece non hanno ruoli, funzioni e spazi riservati. La loro effettiva specificità all’interno della chiesa si caratterizza solo per l’esclusione dagli ambiti riservati agli uomini. Questo, a fronte della retorica sul “genio femminile” e la sua importanza appare piuttosto singolare anche perché “Se per assurdo” come osserva la teologa M. Cristina Bartolomei “tutte le donne morissero, la liturgia potrebbe essere celebrata, i ministeri conferiti e la vita ecclesiale proseguire in pienezza (almeno fino all’estinzione degli umani). Ma se morissero tutti gli uomini le donne non potrebbero più avere una vita sacramentale piena. Una riflessione paradossale ma illuminante” (M.Cristina Bartolomei, “Una comunione di genere?” relazione al convegno della Rete dei Viandanti “Chiesa di che genere sei?” Bologna 16.10.2016)

 

OLTRE LE (GIUSTE) RIVENDICAZIONI FEMMINILI

Di fronte a questi fatti io potrei facilmente argomentare che è stato dimostrato (almeno a partire dall’autorevole parere della Pontificia Commissione Biblica del 1976, parere che Paolo VI chiese e decise poi di ignorare) che l’obbligo di escludere le donne dai ministeri non ha fondamento biblico, che Gesù ha creato attorno a sé una comunità di uguali in cui donne e uomini condividevano discepolato e fatica evangelizzatrice. Potrei aggiungere che escludere da uno spazio, un compito, addirittura un sacramento, alcune persone credenti e battezzate in Gesù Cristo, a causa del loro corpo, dei loro cromosomi che sono xx invece che xy, se non ha fondamento biblico, non ha nemmeno fondamento sul piano della ragione e della storia. E quindi sarebbe ovviamente legittimo rivendicare una dignità femminile non ancora pienamente riconosciuta.

UNO ZOOM SUGLI UOMINI DI CHIESA

Ma vorrei, in realtà, fare un discorso leggermente diverso. Vorrei puntare l’attenzione non tanto sulle donne escluse bensì sugli uomini che, nella chiesa, da quasi 2000 anni teorizzano, organizzano e praticano questa esclusione.

Prima della Pasqua e immediatamente dopo, la comunità cristiana si struttura come comunità di uguali marcando una profonda differenza rispetto al contesto sociale e religioso del tempo che era fortemente patriarcale. Nel giro di pochi decenni però questa differenza sparisce e la comunità cristiana diventa un’istituzione gerarchizzata, in cui il potere di guida è in mano a uomini che vengono addirittura definiti “sacerdoti” (quando nel NT è Gesù l’unico sacerdote e in lui tutti i battezzati e le battezzate costituiscono un popolo sacerdotale). Uomini che elaborano dottrine tendenti a sistematizzare e cristallizzare in norme morali e rituali il kerygma, a stabilire ciò che è nei confini della verità divina e ciò che ne è fuori. Anche prendendosi enormi libertà rispetto alla Scrittura e alla testimonianza di Gesù. È dentro questo contesto che emerge anche la tendenza a definire ciò che le donne sono o non sono, possono fare o non possono fare.

È una tendenza che si consolida nei secoli nonostante i tentativi di riforma e di ritorno allo spirito evangelico. Le riforme “dall’alto” portano certamente novità positive ma più di una volta diventano “…complessi processi di ordinamento religioso e politico che hanno comportato la modifica di assetti istituzionali e teologici in linea più con la difesa dei privilegi della casta clericale che con l’affermazione dei principi ideali del vangelo”. È ciò che la storica e teologa Adriana Valerio afferma a proposito delle riforme gregoriana e tridentina (A. Valerio, “Le donne e la riforma della Chiesa” EDB, p.98). E anche i tentativi di libertà e creatività evangelica di tante donne che amano Cristo e la Chiesa vengono spesso osteggiati in tutti i modi: dalle beghine del medioevo nord europeo viste come una minaccia per l’istituzione, alle congregazioni femminili di vita attiva che nascono nel XIX sec. riconosciute da Leone XIII nel 1900 dopo moltissimi ostacoli e dopo che furono imposte loro forti limitazioni alla libertà e alla creatività pastorale che le avevano fatte nascere (A.Valerio op.cit.).

La domanda allora che vorrei porre è la seguente: chi sono questi uomini di chiesa che così pervicacemente hanno teorizzato la loro superiorità sulle donne e hanno limitato la loro libertà? Chi sono questi uomini che ancora oggi, non teorizzano più l’inferiorità delle donne (anzi, a volte sembra che ne esaltino curiosamente quasi la superiorità!) ma ne continuano a teorizzare l’esclusione? E ancora, questi uomini così spesso preoccupati di definire le donne, cosa pensano di se stessi in quanto uomini? Cosa pensano del modo in cui esercitano la loro maschilità?

Io penso che pochissimi uomini e, tra questi, pochissimi uomini di chiesa, abbiano riflettuto sul loro essere maschi. E invece proprio qui, a mio parere, sta uno dei nodi della riforma della chiesa, perché un certo modo di essere chiesa che le donne hanno spesso fattivamente contestato, e rispetto al quale hanno creato valide alternative, ha molto a che fare con il modo di pensare, anzi di “non pensare” il maschile.

Cerco di spiegarmi meglio.

 

IDENTITA’ MASCHILE E TENDENZA AL DOMINIO

Io ipotizzo che gli uomini abbiano purtroppo legato la propria identità di genere al dominio, al potere sugli altri, alla tendenza a sottomettere. Il modo in cui Gesù ha vissuto il proprio essere maschio non è riuscito a scalfire il modo in cui i maschi si sono pensati né la cultura egemone che ha definito il maschile. La quale si è spesso indissolubilmente legata al potere come volontà di dominio.

Potremmo dire che la cultura patriarcale che ha segnato la storia della chiesa e ancora per tanti aspetti la caratterizza, è legata all’idea che “non c’è maschile senza dominio” quindi senza struttura gerarchica, senza verità ben definite a cui adeguarsi, senza sacralizzazione di ruoli, senza riduzione del molteplice all’uno. Il dominio sulle donne è solo un aspetto, pur paradigmatico, di questa cultura del maschile.

Ed è questa che va messo in discussione! E non solo perché ha danneggiato le donne quanto perché ha immiserito gli uomini e allontanato la chiesa dal vangelo!

Infatti, lo stretto legame tra identità maschile e volontà di dominio ha significato anche il tentativo di “dominare Dio stesso” attraverso formule, dottrine, norme, attraverso la pretesa di definire la volontà e il pensiero di Dio, addirittura la Verità, in modo ben delimitato e immutabile. La dottrina del sacramento dell’Ordine riservato agli uomini dichiarata “sentenza definitiva” (Giovanni Paolo II, Ordinatio sacerdotalis) ne è un esempio chiaro ma non unico.

Un Dio trinitario e quindi relazione dinamica e “mai conclusa” di Persone amanti, un Dio uno ma molteplice che si fa carne e si rivela nel limite e nella debolezza, testi sacri che sono narrativi e non dogmatici…. avrebbero dovuto condurre su strade diverse, ma così non è stato. Così, uomini di chiesa hanno impedito che fosse.

Io penso che questa chiesa che ancora teorizza l’esclusione delle donne e qualche volta vuole ancora ingabbiare Dio dentro a schemi umani, abbia a che fare con un certo modo di intendere l’identità maschile. Gli uomini, a differenza delle donne, hanno sempre fatto fatica a riflettere sul loro essere maschi, a riconoscere la parzialità del loro approccio alla realtà in quanto segnato dal loro corpo e dalla cultura sul maschile ereditata. Si sono identificati con l’umano in quanto tale.

Io credo che una via di riforma della Chiesa stia invece proprio qui.

Di fronte alle assemblee dei vescovi che vorrebbero essere rappresentative della Chiesa e che però sono assemblee di soli uomini e celibi, qualcuno pensa che sarebbe necessario (e sufficiente) inserire un po’ di donne per risolvere il problema.

Secondo me invece non basterebbe. Sarebbe anche necessario che i componenti di quelle assemblee si interrogassero sul “perché” pensano di essere rappresentativi e di potere parlare a nome della Chiesa intera, quando ciò è evidentemente impossibile; un “perché” che dovrebbe fare i conti con quel modo di vivere ipertroficamente il proprio essere maschi che però non esalta il maschile bensì lo “immiserisce” (Stefano Ciccone, Essere maschi tra potere e libertà, Rosemberg&Sellier)

Papa Francesco è sicuramente attento al tema del potere maschile nella chiesa ma la strada è ancora molto lunga. L’istituzione, nel 2016, della commissione che ha esaminato la possibilità del diaconato per le donne, voleva essere un segno di apertura e mettendosi nei panni del papa certamente lo è stato. Ma devo confessare che l’istituzione di questa commissione per me è stata quasi offensiva: che nel 2017 ci si debba ancora chiedere se le donne possano o non possano esercitare il ministero del diaconato è davvero sconcertante. Una commissione di studio io la proporrei, ma dovrebbe spiegare il motivo per cui gli uomini di chiesa si sono ossessivamente dedicati nel corso di 2000 anni di cristianesimo a ostacolare la libertà delle donne di testimoniare il Vangelo, e ad affermare il proprio dominio su di loro. Una commissione per riflettere sul maschile e le sue degenerazioni, appunto.

Ciò non significa che la struttura patriarcale della chiesa cattolica non abbia avuto “felici cedimenti” nel tempo: pensiamo alle tante studiose che oggi eccellono nella teologia e nelle scienze religiose e alla loro voce autorevole che scuote le coscienze, pensiamo alle tante realtà laicali in cui gli uomini hanno superato l’equivalenza maschile-dominio e condividono con le donne la loro testimonianza. Ma la stessa cosa è accaduta a un certo numero di presbiteri e anche a vescovi e papi che hanno saputo mettere in discussione certi modelli e disporsi all’ascolto: tutti per esempio ci ricordiamo della prima parte della Mulieris dignitatem e della sua esegesi biblica assolutamente egualitaria. I segni del cambiamento ci sono. Ma avanzano con notevole lentezza.

 

IL POTERE FEMMINILE NELLA CHIESA…

Un’altra osservazione. Ho già detto come ancora oggi si teorizza nella chiesa cattolica l’esclusione delle donne da determinati ministeri. La cosa interessante però è che almeno in parte questi ministeri le donne li esercitano abbondantemente! Pensiamo al ministero del lettorato a cui le donne, del tutto inspiegabilmente, non possono accedere. Ma le donne proclamano continuamente la parola nella liturgia! E non lo fanno per caso, saltuariamente, ma stabilmente e consapevolmente, molto spesso affiancando questo servizio al ministero di catechiste che sempre ha al proprio centro la Parola. E la stessa cosa si può dire dell’accolitato e del diaconato: quante donne preparano la liturgia o sono ministre straordinarie dell’Eucarestia, quante di loro promuovono concretamente la dimensione della carità! Nonostante tutto le donne esercitano ministeri e anche un certo potere nella chiesa.

Quindi qual è il loro problema? Il loro problema non c’è, anche perché non credo che molte donne aspirino a “ottenere” un ministero istituito. Inoltre, almeno nel nostro contesto sociale europeo in cui il tema della parità dei sessi è acquisito (anche se non del tutto realizzato) e in cui ruoli e funzioni si rimescolano liberamente indipendentemente dai cromosomi, la nostra libertà ce l’abbiamo e liberamente decidiamo di servire la comunità perché l’amiamo. Certo, per qualcuna l’aria diventa irrespirabile e abbandona, altre hanno assorbito la mentalità patriarcale e la condividono… Anche noi donne siamo sfidate di fronte a questa situazione.

 

…E LA LIBERAZIONE DEGLI UOMINI

Ma ritengo che il problema principale non sia tanto delle donne bensì degli uomini. Non siamo noi a sentirci oppresse ma riteniamo che sia opprimente per gli uomini di chiesa non farsi mettere in crisi dall’esempio di Gesù che ha vissuto il potere dell’amore e non del dominio, che ha chiamato discepole e discepoli, ha inviato apostole e apostoli e ha criticato la gerarchia religiosa del tempo senza crearne una nuova e ha detto che tutta la legge e i profeti si riassumono nell’amore per Dio e per il prossimo.

Una grande liberazione per gli uomini e per la chiesa tutta sarebbe l’elaborazione di un nuovo modo di intendere la maschilità a partire dall’esempio di Gesù.

 

IL RISCHIO DELLA CONTROTESTIMONIANZA

Infine un ultimo problema. Nel nostro contesto sociale europeo, come dicevo, la parità è un dato formalmente acquisito ma in buona parte del mondo non è così. Moltissime donne sono discriminate e umiliate da uomini che elaborano leggi, interpretano testi religiosi, organizzano lavoro, famiglia e politica in base all’idea di dovere dominare le donne. Quale testimonianza può dare la chiesa cattolica per creare un mondo più giusto se, nonostante la retorica sulla uguale dignità di ogni essere umano, perpetua al proprio interno un modello patriarcale? La chiesa rischia di offrire in questo senso una grave contro-testimonianza.

 

PER RIFORMARE LA CHIESA, RIPENSARE IL MASCHILE

Insomma, parafrasando Stefano Ciccone (“Essere maschi”, una nuova identità per farla finita con la “gabbie”, la Repubblica.it, 8 giugno 2011) mi chiedo: è possibile realizzare una riforma della chiesa che non si misuri con una critica dei modelli di mascolinità? Credo di no. La necessità di aprire una riflessione critica sul maschile è insomma questione centrale per la politica e la cultura ma anche per le religioni e la chiesa cattolica in particolare.

 

Carla Mantelli

 

(Intervento letto dall’autrice nel corso del dibattitoSull’onda conciliare. Papa Francesco e la riforma della Chiesa”)

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