RIPENSARE IL MINISTERO, RIPENSARE LA CHIESA di Carla Mantelli

di BorgoAdmin

La teologa Cettina Militello, ecclesiologa e storica figura della teologia italiana, non usa mezzi termini: “Noi cristiani non abbiamo sacerdoti e sacrifici. Noi abbiamo la Parola da ascoltare e il pane da spezzare”. Lungo la storia del cristianesimo, i ministeri esercitati nella comunità si sono ridotti a uno: maschile, monarchico, sacrale e sacerdotale. Invece di essere fedeli al dettato evangelico, ci siamo appiattiti su contesti culturali preesistenti o contemporanei: sacerdoti e altari del giudaismo e del paganesimo, modelli patriarcali, istituzionalizzazione di tipo monarchico.  Nel Nuovo Testamento si parla di presbiteri e vescovi ma mai il termine “sacerdote” è riferito a loro. È riferito solo a Gesù e al popolo che ha ricevuto il battesimo. E i ministeri ruotano attorno alla diakonia, cioè al servizio, non al dominio. Il modo in cui ancora oggi si pensa e si realizza il ministero ordinato ha ben poco a che fare con i ministeri maschili e femminili di cui parla il Nuovo Testamento. Lo evidenzia anche il lessico con cui si continua a definire i presbiteri sacerdoti e i vescovi padri “secondo una lettura patriarcale che assegna al ministro, assimilato al pater familias, un vocabolo che il NT riferisce (…) a Dio stesso” (C.Militello, Ripensare il ministero, p.87-88).

Invitata dalla Rete Viandanti e interrogata da due docenti di Religione Cattolica, Stefania Mazzocchi e Paola Biavardi, la prof.ssa Militello ha tratteggiato un quadro impietoso della nostra, pur amata, chiesa cattolica romana e ha cercato di indicare qualche prospettiva di cambiamento. La questione del ministero è in fondo solo la punta dell’iceberg perché alla radice dell’asfissia di cui sembra soffrire la chiesa sta il modello di comunità che va riformato per essere più aderente al dettato evangelico. Se rileggiamo gli Atti degli Apostoli ci imbattiamo in una descrizione, pur idealizzata, di una comunità che ascolta la parola, prega, spezza il pane, condivide i beni. È una chiesa domestica, non gerarchica, in cui non esiste uno spazio sacro o una casta sacra separata dal popolo. La chiesa è il popolo di Dio, ricca di carismi che si traducono in servizi (ministeri) in base a un discernimento comunitario. Il Concilio aveva indicato con chiarezza che questa è la strada ma ancora siamo lontani dal percorrerla con decisione.  Il Sinodo che stiamo vivendo può essere un’occasione importante ma non è chiaro quale peso avrà la riflessione che il popolo di Dio sta attuando quando di celebrerà il vero e proprio Sinodo che vedrà i vescovi tirare le conclusioni. Il fatto che il vescovo di Roma abbia abrogato la regola in base alla quale anche i ministeri del lettorato e dell’accolitato erano riservati agli uomini, è certamente un piccolo passo avanti ma si tratta solo di un atto di riparazione rispetto a un’infelice decisione (purtroppo non l’unica) assunta a suo tempo da Paolo VI. Francesco sta cercando di riformare la Chiesa ma togliere qualche ridicolo divieto o rivoluzionare i dicasteri vaticani non basta. Bisogna abbandonare la struttura statuale di monarchia assoluta, riformare il collegio elettivo del vescovo di Roma che non dovrebbe più essere scelto dai cardinali ma dai presidenti delle conferenze episcopali continentali o sub continentali, da laiche e laici competenti, da una parte della Curia romana. Sarebbe necessario cambiare radicalmente il percorso formativo dei ministri ordinati che prima di qualunque cammino specifico dovrebbero condividere con il laicato gli studi teologici. I seminari oggi sono il brodo di coltura del clericalismo quindi sono da superare. Sarebbe necessario andare verso una chiesa povera con i poveri.

Ci sono riforme che possono essere decise solo “dall’alto” ma altre che si possono mettere in atto “dal basso” senza aspettare autorizzazioni o “benedizioni”: ripartiamo dalle case, dalle chiese domestiche dove pregare, ascoltare la Parola, esercitare la carità; ricominciamo ad annunciare il vangelo attraverso la nostra credibilità. Forse la nostra chiesa scomparirà ma ciò non significa che scomparirà la Chiesa. Non dobbiamo nemmeno avere paura dei conflitti e delle eventuali separazioni. La vera unità della Chiesa la fa lo Spirito, non gli accordi umani o, peggio, l’immobilismo che garantisce un’unità di facciata.

Cettina Militello, Ripensare il ministero. Necessità e sfida per la Chiesa, Firenze 2019, ed.Nerbini, p.126, €.15

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