NUMERI E PROSPETTIVE DI CONTRASTO ALLA CRIMINALITÀ AMBIENTALE di Anna  Pellegrini

di BorgoAdmin

L’Italia, grazie al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ha già ricevuto 67 miliardi dall’Unione europea e otterrà, ove siano rispettati tutti i parametri, altri 53 miliardi entro la fine del 2023. Si tratta, secondo Giuseppe Busia, Presidente di ANAC, di “cifre enormi, che ingolosiscono la malavita, anche organizzata”. Perciò, come evidenziato da Stefano Ciafani, Presidente di Legambiente, “mai come in questo momento storico si devono alzare le antenne per scovare inquinatori ed ecomafiosi”. Su questi temi di grande attualità, l’8 novembre, al Campus, si è tenuto il seminario “Ecomafie. Numeri e prospettive di contrasto alla criminalità ambientale” promosso dall’Osservatorio permanente della legalità dell’Università di Parma, che da tempo opera per la promozione della legalità ambientale. Il seminario, promosso da Monica Cocconi, professoressa di diritto amministrativo e responsabile scientifica dell’Osservatorio permanente della legalità, è stato l’occasione per la presentazione del “Rapporto Ecomafia 2023. Le storie e numeri della criminalità ambientale in Italia” illustrato da Lidia Castagnoli di Legambiente. Secondo il Rapporto, nel 2022 è proseguita l’attività delle ecomafie: sono stati registrati oltre 30.000 reati ambientali, con una media di 84 reati al giorno, 3,5 ogni ora. Crescono anche gli illeciti amministrativi che sono oltre 67.000. Sommando queste due voci, le violazioni delle norme poste a tutela dell’ambiente sfiorano quota 100.000. “E’ un fenomeno che sta confermando la sua entità”, spiega Lidia Castagnoli, ed è questo l’aspetto grave perché numerosi sono stati gli sforzi per contrastarlo messi in atto al legislatore e dalle associazioni ambientaliste. Dai dati del Rapporto emerge l’estrema diffusione territoriale del crimine ambientale: si pensi che il 39,7% dei reati ambientali è stato registrato nelle Regioni a tradizionale presenza mafiosa, perciò, la maggior parte dei reati (60,3%) viene commesso nelle Regioni del centro e nord Italia. Destano preoccupazione i dati dell’Emilia-Romagna, che è ottava nella classifica dell’illegalità ambientale delle Regioni italiane con 1468 reati e 1292 persone denunciate. È un dato in forte crescita: rispetto al 2021 vi è un aumento del 35% dei reati e un incremento del 38% delle persone denunciate. Nella classifica dell’illegalità ambientale a livello provinciale, Parma è al settantaquattresimo posto sulle 109 province italiane. Più precisamente, a Parma sono stati commessi 93 reati ambientali e 73 persone sono state denunciate.

Questi dati stimolano riflessioni, soprattutto se letti in relazione al peculiare contesto storico in cui ci troviamo. In un quadro in cui il crimine ambientale è sempre più camaleontico, gli studiosi hanno evidenziato i rischi del nuovo codice dei contratti pubblici che ha previsto l’abbassamento delle soglie al di sopra delle quali è obbligatorio lo svolgimento di una gara pubblica. Ciò, chiaramente, può costituire una scorciatoia pericolosa per il rispetto della legalità e apre al rischio di infiltrazioni mafiose, corruzione e clientelismo. Sono anche mutate le modalità di manifestazione del crimine ambientale: le mafie hanno assunto un modello ispiratore sempre meno legato a manifestazioni di violenza ed invece volto all’infiltrazione economico-finanziaria. Nel compiere illeciti ambientali, ha spiegato Lidia Castagnoli, le organizzazioni criminali tengono un basso profilo di esposizione e agiscono con le armi dell’economia inducendo gli imprenditori ad accettare l’offerta criminale o, addirittura, a cercare i servizi illeciti. Tali servizi, secondo il Rapporto Ecomafia, riguardano il traffico e lo smaltimento illecito di rifiuti, l’abusivismo edilizio e l’attività di escavazione ma anche nuove attività come il racket degli animali, la truffa e la contraffazione alimentare (agromafie), il sacco dei beni artistici (archeomafia) e l’assalto alla green economy. Il crimine ambientale ha molteplici interessi ed è finanche attento alle dinamiche dell’economia circolare, in cui il settore dei rifiuti assume un rilievo peculiare, essendo un ambito dove si maneggia, al contempo, valore e disvalore. Se, per i rifiuti, il valore aggiunto risiede nella qualità delle procedure di trattamento e smaltimento, è alta la tentazione dell’imprenditore a truccare le carte. Sono emersi, addirittura, fenomeni in cui le organizzazioni criminali simulano i processi dell’economia circolare per tramite di procedimenti in cui il rifiuto transita da uno stoccaggio all’altro solo in via documentale. In tal modo si simula la sua trasformazione da rifiuto a materia prima secondaria anche se, in realtà, il rifiuto non subisce alcun trattamento. Tali aspetti – trattati nel seminario da Anna Pellegrini, borsista di ricerca presso l’Università di Parma – rendono evidente il legame tra il crimine ambientale e il modello economico di riferimento. La regolazione può fare la differenza, allargando o all’opposto restringendo lo spazio dei trafficanti di rifiuti, che sono tanto più forti quanto il sistema di regolazione ufficiale è debole. Il crimine ambientale si muove all’interno delle inefficienze del ciclo dei rifiuti: si pensi alla molteplicità di soggetti coinvolti, alla mancanza di un sistema di tracciabilità efficiente, alla disomogeneità territoriale degli impianti. Tali aspetti contribuiscono alla creazione di spazi di permeabilità che vengono poi sfruttati dalla criminalità organizzata. Per questo l’adesione all’economia circolare, che postula la riduzione della produzione di rifiuti tramite piani industriali che mirano ad estendere il ciclo di vita dei prodotti, può costituire una forte strategia di contrasto ai reati ambientali, consentendo di togliere spazi d’azione alla criminalità. La forza della criminalità ambientale è testimoniata dai dati, ma la strada per affrontarla si sta progressivamente definendo. Se il miglior rifiuto è quello non prodotto, è necessario cambiare i modelli di consumo e di produzione e allo stesso tempo puntare sull’innovazione di processo e di prodotto. Per quanto il mutamento del modello di sviluppo sia la precondizione per il cambiamento, il crimine è poi un fatto profondamente umano che può essere leso nel profondo solo dalle azioni di imprenditori, pubblici amministratori e consumatori che siano effettivamente rette da coscienza, etica e responsabilità.

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