LE COLPE DEI POVERI di Carla Mantelli

di BorgoAdmin

Da qualche anno la Caritas diocesana organizza la manifestazione “24 ore di Carità” che consiste in una specie di mostra in cui vari Enti caritativi si presentano a ragazze e ragazzi delle scuole o dei gruppi parrocchiali del nostro territorio. Ho accompagnato anch’io un gruppo di liceali che hanno potuto dialogare con rappresentanti di Caritas, Comunità S. Egidio, Casa della Carità, Vides hope, Centro di Aiuto alla Vita, Comunità Papa Giovanni XXIII, Comunità Betania, Associazione S. Giuseppe, Società S. Vincenzo de Paoli.  L’iniziativa, svoltasi in Vescovado, era prevista in preparazione della Giornata mondiale dei poveri in calendario per domenica 19 novembre. E proprio sulla povertà, una volta tornati in classe, si è sviluppata una discussione molto interessante. Ragazze e ragazzi sono stati colpiti dall’attività dei vari Enti incontrati, quasi nessuno ne era a conoscenza e tutti hanno apprezzato l’impegno gratuito di tante persone per alleviare le difficoltà di chi vive in condizioni di povertà.  Un buon numero di Enti si occupa di fornire pacchi alimentari o di prima necessità a persone (es. senzatetto) o famiglie. Una domanda è sorta quindi da alcuni: “Queste iniziative caritatevoli non rischiano di creare dipendenza nei poveri che vengono assistiti? Come fare per promuovere l’autonomia delle persone povere in modo che escano dalla povertà?” La domanda è stata l’occasione per riprendere in mano il materiale raccolto negli stand dei vari Enti caritativi e scoprire che diversi di loro non si limitano a fornire pacchi alimentari ma propongono consulenza per la ricerca di un lavoro, organizzano corsi di italiano per gli stranieri, svolgono attività educative per i più piccoli… Ho cercato di approfondire la riflessione facendo notare che l’Emila Romagna, compresa Parma, è una zona considerata ricca, in cui c’è lavoro e benessere. Perché allora, tanta povertà? “Perché la ricchezza è distribuita male!” ha esclamato una ragazza tra l’approvazione generale. A questo punto, pensando di fare una domanda retorica, ho chiesto: “Ed è giusto che la ricchezza sia distribuita male?”. “Sì, certo!” ha risposto in coro il gruppo classe. Colpo al cuore. “È giusto? E perché è giusto?” “Perché, se uno vuole veramente, dalla povertà esce. Quelli che restano poveri si adagiano nella loro situazione, si accontentano degli aiuti e non vogliono davvero cambiare”. “Quindi la povertà in cui sono è colpa loro?”. La risposta è stata di nuovo affermativa ma qualche crepa cominciava a vedersi nelle certezze del gruppo. Piano piano, anche grazie a esempi concreti che qualche studentessa presentava, si è constatato che dare ai poveri la colpa della propria povertà e ai ricchi il merito della propria ricchezza non è sempre accettabile. Molti ricchi si trovano ricchi senza merito e molti poveri si trovano poveri senza colpa. “Poveri si nasce, è sempre più un’eredità. Il lavoro non basta per uscire dalla crisi” titolava Avvenire qualche giorno fa (18.11.2023 p. 4.). Il problema sono le condizioni di partenza che possono essere molto svantaggiose. E chi può modificare le condizioni di partenza? Il gruppo ha convenuto che, certo, l’impegno degli Enti caritativi è importante, ma ancora di più è importante la politica che, per esempio, attraverso un sistema fiscale equo, può davvero – e in parte lo fa – creare maggiore uguaglianza di opportunità per ogni persona e famiglia. Se istruzione e sanità, tanto per citare due ambiti vitali, dovessero divenire sempre meno gratuiti, un numero crescente di persone si troverebbe in povertà. E non per loro colpa.  Nel gruppo che ho accompagnato alla “mostra” solo due ragazze hanno dichiarato di svolgere attività di volontariato, una in Croce Rossa e l’altra all’Emporio solidale.

Per ora, una grandissima spinta a svolgere attività di volontariato non l’ho vista. La speranza è che qualcuno decida di sfruttare la possibilità dell’anno di Servizio Civile Volontario anche se, in una società nella quale contano molto l’efficienza e la velocità, lo si potrebbe purtroppo anche considerare un anno “perso”.  Insomma, anche questa esperienza mostra che siamo di fronte a un mondo giovanile non particolarmente idealista e disposto all’impegno gratuito. Però si tratta di ragazze e ragazzi concreti, disposti a ragionare, ascoltare, studiare. Essendo studentesse e studenti di un Liceo delle Scienze Umane hanno infatti colto il legame tra i loro studi e le problematiche illustrate dalle volontarie e dai volontari incontrati. È probabile che molti di loro sceglieranno una professione che ha anche fare con le relazioni di aiuto, e chissà, magari li ritroveremo come professionisti in qualche struttura di Betania o del Centro di Aiuto alla vita. Poche chiacchiere, molti fatti!

 

 

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