LA SFIDA PER LA SINISTRA: RIFLETTERE SUGLI ERRORI PER TORNARE A GOVERNARE di Piersergio Serventi

di BorgoAdmin

Credo sia necessaria una riflessione a tutto campo sulle ragioni di fondo del perdurante consenso al governo Meloni, nonostante le promesse clamorosamente mancate e nonostante alcune iniziative la cui finalità meramente propagandistica è probabilmente evidente anche alla gran parte di coloro che ciononostante ancora sostengono il governo. Le ragioni del consenso alla Meloni a mio parere hanno a che fare con due ordini di questioni: l’insufficienza da sinistra di una offerta politica visibilmente alternativa; e il fatto che l’opposizione ha non poco da far dimenticare. Con riferimento all’alternativa, preso atto realisticamente dei vincoli attuali di politica estera, la sinistra, non solo in Italia, ma un po’ in tutto quel che chiamiamo “occidente”, dopo l’89 è ancora alla ricerca di una visione di futuro e di società che sostituisca ciò che le sole parole “socialismo” o “solidarismo cattolico” evocavano anche emotivamente.  Quanto alle “colpe”, è sufficiente elencarne alcune che corrispondono ad altrettanti terreni su cui il PD oggi tenta di costruire la sua opposizione. Partiamo dalla più antica, la questione immigrazione. Oggi il PD propone di spostare l’attenzione dal contrasto all’integrazione. Ma quando, nel recente passato, il PD di governo ha davvero a sua volta incentrato l’attenzione sull’integrazione, anziché sul contrasto? La mancata riforma della Bossi-Fini (per pavidità e calcolo?) è stato un errore oggi riconosciuto. L’esponente PD più benevolmente citato dagli elettori di destra è Minniti, forse più a torto che a ragione identificato soltanto con gli accordi italo-libici, comunque ora apertamente ripudiati da sinistra. E’ ben vero che il Piano Mattei, l’accordo con la Tunisia e ora l’Albania si sono risolti o si risolveranno in un flop, ma se a Meloni vanno imputate le incoerenze con la campagna elettorale, il PD di oggi fatica a far dimenticare le posizioni di ieri. Sanità: dalla fine degli anni ‘90 fino al Covid, anche i governi di centro sinistra, sia nazionali che regionali, hanno gestito il problema della sostenibilità finanziaria del SSN dal versante del contenimento dei costi piuttosto che degli incrementi finalizzati di risorse correnti, da destinare a personale e beni e servizi. Nel 1999, con la c.d. “riforma ter” (ministro Rosy Bindi), magari pensando in buona fede di favorire il terzo settore, sono stati introdotti i fondi sanitari integrativi, aprendo la strada alle assicurazioni e quindi alla sanità privata che da integrativa, a causa della lesina finanziaria pubblica, è diventata gioco forza alternativa per chi può permettersi di fruirne. Ora giustamente il PD incalza il governo sulla necessità di salvare la sanità pubblica universalistica, ma in passato non le ha fatte tutte giuste.  Sul lavoro e le disuguaglianze, mentre la precarietà non l’ha inventata solo la destra (chi non ricorda il pacchetto Treu?), a sua volta la sinistra aveva da tempo dimenticato la propria dimensione di lotta, per privilegiare quella di governo che, per sua natura, è più attenta alle compatibilità e alle mediazioni, che alla povertà materiale e alla negazione del futuro per larghe fasce di popolazione, soprattutto giovani, donne e meridionali . Sull’autonomia differenziata chi non ricorda le suggestioni emiliano romagnole per una prima versione della proposta, allora di fonte non solo leghista? E come non fare ammenda dell’errore sull’abolizione delle Province elettive, errore che ha ristretto gli spazi di autonomia e democrazia nei territori, accentrando troppi poteri sulle Regioni? Sul premierato elettivo, in tempi non remoti, a sinistra ha prevalso lo slogan del “sindaco d’Italia”, quando forse ancora manca da quelle parti una riflessione critica e autocritica sui “danni collaterali” dell’aver aperto nel 1993, proprio con i sindaci, in nome della governabilità (ancora oggi proclamata come motivazione della proposta Meloni), la stagione della elezione diretta dei vertici istituzionali. Danni collaterali riassumibili in una sola conseguenza: l’assoluto svuotamento della funzione dei partiti politici come descritta in Costituzione e la loro frantumazione in comitati elettorali.

Ciò detto, resta sacrosanta la più radicale opposizione al governo Meloni, per i rischi di cui è portatore,  ma altrettanto importante è la piena consapevolezza degli errori passati, perché è solo discostandosi da quegli errori che l’attuale opposizione potrà tornare a governare. E’ tempo per la sinistra di portare a Bruxelles, una visione di Europa meno vincolata agli interessi geopolitici degli USA, ormai a rischio permanente di derive populiste; è tempo di elaborare da sinistra un articolato piano nazionale per l’accoglienza e l’integrazione dei migranti; è tempo di inaugurare una stagione di lotte sociali sulla sanità pubblica partendo dal ruolo degli operatori, degli amministratori locali e della società civile, anziché dagli Assessorati Regionali, dai Direttori generali di ASL e perfino dagli accordi sindacali sul c.d. welfare aziendale, che altro non è che il ritorno alle mutue di categoria. La suggestione del Premier eletto dal popolo va combattuta culturalmente alla radice, riscoprendo il Parlamento eletto dal popolo con le preferenze e con un sistema elettorale che rivalorizzi la rappresentanza; vanno rafforzate tutte le assemblee elettive, anche e soprattutto nei Comuni, nelle Città Metropolitane e nelle Province da ricostituire, anziché ridurle a consessi acquiescenti all’eletto di turno, poi in grado di redistribuire porzioni di potere al suo staff. Solo così anche le elezioni cesseranno di essere un rito al quale, per chi ha perso la speranza, vale sempre meno la pena di partecipare. E’ soprattutto tempo di riscoprire e rielaborare una critica del capitalismo globalizzato, affossatore dell’autonomia della politica, che possa offrire una visione di economia e di società, compatibile con un futuro desiderabile per il pianeta e per l’umanità. Solo così, con una piattaforma ideale e programmatica in grado di essere percepita come veramente alternativa, sia alla destra che alle tuttora forti suggestioni del populismo multicolore e prepolitico, una sinistra riformista ritornata attrattiva e più unita, potrà tornare a governare.

 

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