IL DIFFICILE MOMENTO POLITICO: A PARMA, A ROMA, IN EUROPA

di Riccardo Campanini

Credo giusto impostare questa riflessione sull’attuale momento politico in capitoli: Europa, Italia, Parma e PD.

Europa

Il giudizio assolutamente negativo sul conflitto irresponsabilmente innestato prima da Salvini e poi dal Governo tutto nei confronti dell’Europa, non può far dimenticare la crisi in cui è precipitata l’Europa per la preminente responsabilità della diarchia di Francia e Germania.

Gli effetti negativi di questa impostazione si sono visti, da prima, con la sostituzione di fatto degli organi di governo dell’Unione Europea da parte della Cancelliera tedesca e del Presidente francese. Una sostituzione che, non solo ha delegittimato l’UE medesima, ma che ha anche dato spazio ad una politica franco-germanica in luogo di una politica europea.

L’Unione Europea, come organizzazione di paesi satelliti di Francia e Germani, tradisce la volontà dei fondatori, non ha senso politico ed economico ed è motivo – come purtroppo si deve constatare – di disgregazione.

Gli effetti sulle politiche europee si sono visti soprattutto in due ambiti: quello economico-finanziario, dove la politica di bilancio è stata condizionata dalle esigenze della Francia e della Germania, con scarsa attenzione al problema dell’Europa nel suo complesso e a quello dei singoli Stati, e con l’effetto di una politica troppo condizionata dal mero pareggio di bilancio senza nessuna attenzione (ché questo profilo non era rilevante per i due citati Paesi) alla necessità di contemperare il risanamento, con l’attenzione ai problemi sociali e di sviluppo dei singoli Paesi. Gli effetti sono stati: la crescita delle fasce di emarginazione economica e sociale, l’aumento esponenziale della rabbia e della paura della miseria e la accresciuta attenzione alle posizioni estreme legate alle figure dell’ “uomo forte”. Uomo forte a cui il popolo si rivolge quando sente la mancanza dello Stato.

L’elemento che ha completato questa “magnifica” opera, che farebbe inorridire i padri dell’idea europeistica, è stata la non politica sulla immigrazione. Sotto questo profilo, c’è poco da dire. Bisogna, purtroppo, constatare che, la mancanza di una politica europea, non voluta dai Paesi di Visegrad, non meno che da Germania e Francia, ci ha regalato lo scenario di una UE che, su questo tema, non è più una unione, perché non è più in grado di avere una politica unica.

Tutto questo ha contribuito a realizzare le condizioni del più bel regalo che si potesse fare a Trump e a Putin, per i quali la debolezza cronica dell’Europa è manna dal cielo, sia sotto il profilo della politica economica, sia sotto il profilo della politica estera.

Il peggio è, che tutto questo avviene con una opinione pubblica orientata alla ostilità nei confronti della Unione stessa e, quindi, potenziale elettorato delle forze antieuropeiste, da Salvini, a Di Maio, a Orban e alla Le Pen, per citare i più famosi.

Questo apre lo sguardo su uno scenario molto delicato in vista delle elezioni 2019, che deve portare tutti coloro che sono convinti che l’Europa è una idea politicamente insostituibile ed economicamente fondamentale per l’Italia, a prepararsi per le elezioni europee, mutando radicalmente l’atteggiamento.

A differenze delle tornate scorse, infatti, le elezioni europee dovranno essere considerate non meno decisive di quelle politiche interne e, come tali, imporrano un impegno di uguale intensità.

Italia

Il 4 marzo ci ha consegnato un risultato elettorale chiaro, che, nonostante le semplificazioni, era però caratterizzato, stante il sistema elettorale proporzionale, da 3 sconfitti: il Centrodestra, il Movimento 5 Stelle e il Partito Democratico. E ciò, perché nessuna forza politica o nessuna coalizione ha raggiunto la maggioranza assoluta dei seggi né alla Camera, né al Senato. Sia chiaro: con la fondamentale differenza che il PD ha perso voti in misura consistente e gli altri due li hanno guadagnati in misura assolutamente rilevante. La vera svolta e l’emergere di “vincitori” è avvenuta con la costituzione del governo Salvini-Di Maio. Lo testimoniano i sondaggi, che indicano oggi una maggioranza di oltre il 60% si elettori per la Lega e i 5S, con la prima che ha raddoppiato i voti stessi.

Lo scenario che si può evidenziare oggi nella consapevolezza di un quadro, di cui non è certa la stabilità, è quella di una via democratica ad un sistema oligarchico, per non dire totalitario.

La storia ci dice che questo è già successo.

Tutto ciò è potuto avvenire per la scellerata scissione e per l’irresponsabile scelta del Centrosinistra di correre diviso, che ha regalato a Lega e 5 Stelle 50 o 60 seggi tra maggioritario e uninominale.

Se si fanno i conti, infatti, si comprende che, senza quei seggi, questo governo non sarebbe potuto nascere per la mancanza della maggioranza in Senato.

Tutto ciò, però, è stato poi determinato dalla abilità mediatica, soprattutto del Segretario della Lega, che ha saputo cavalcare il tema della immigrazione e della sicurezza, con spot che hanno entusiasmato – è il caso di dirlo – una gran parte di italiani insoddisfatti delle politiche precedenti.

Un’insoddisfazione che si percepiva, alla quale non è stata data una risposta complessiva e convincente, ma che è oggettivamente ingiustificabile perché, se i flussi migratori verso l’Italia oggi sono consistentemente diminuiti e sono tornati ad una quota sostenibile, il merito è tutto ed esclusivamente di Marco Minniti.

Salvini si vanta di risultati che hanno la loro origine nelle scelte compiute dall’ex Ministro; scelte, che rimangono le uniche operate in questo settore, perché Salvini ha fatto molta polvere, ma non ha assunto vere misure integrative o correttive all’abile disegno disegnato dal Governo Gentiloni. Ne è la riprova il c.d. decreto immigrazione, sicurezza e criminalità organizzata, che non va oltre lo spot in una prospettiva da Stato di polizia e che contiene una misura gravissima: la modifica del codice antimafia per consentire la vendita degli immobili ai privati. E tutti sanno, che questo favorisce il riacquisto degli immobili da parte della criminalità organizzata, consentendo alla stessa di riciclare il denaro sporco.

Tutto tiene!

Il M5S, nella XVII legislatura, è uscito dall’Aula nel momento del voto finale sulla riforma del codice antimafia, che vietava la misura ora introdotta, e i casi della vita hanno voluto che il 4 marzo il Movimento stesso abbia fatto man bassa di parlamentari in Sicilia.

I sondaggi, oggi, mostrano dei segni – tenui – di indebolimento del feeling tra le forze di governo e l’elettorato.

La ragione è chiara ed evidente a tutti: le dissennate scelte di politica economica, ispirate solo dalla demagogia, stanno rivelando l’inaffidabilità di Lega e M5S, soprattutto perché aprono scenari di instabilità economico-finanziaria, di cui nessuna persona consapevole può essere contenta.

Piaccia o non piaccia, infatti, l’uscita dall’euro vorrebbe dire per l’Italia un tracollo tipo Venezuela. E la crisi definitiva dell’Europa, che potrebbe seguire al tracollo italiano ci collocherebbe in uno scacchiere internazionale che riporterebbe indietro le lancette ai tempi di Yalta.

Non ci si può che augurare che alla fine si ritrovi il filo di una strategia seria e responsabile.

Parma

La cronaca di questi giorni costringe a registrare un nuovo scandalo nella sanità parmense: dopo un anno dal caso “Pasimafi”, un altro clinico universitario è nella bufera giudiziaria per presunti, indebiti rapporti con case farmaceutiche, legati anche alle valutazioni della sperimentazione di farmaci salvavita.

È inutile negare il colpo di immagine, ma non bisogna restare vittime dello stesso.

Prima di ogni altra considerazione, mi sembra doveroso esprimere apprezzamento per il sistema sanitario parmense nel suo complesso e solidarietà ai tanti professionisti competenti e specchiati, che operano nel campo medico-universitario e in quello ospedaliero e che non meritano di dover subire l’onta del comportamento di pochi. Sono convinto, che sapranno guardare avanti e evitare che il danno di immagine si traduca in un danno di opinione sulla capacità di risposta del nostro sistema sanitario, che, naturalmente perfettibile come ogni sistema, ha punte di eccellenza riconosciute.

Questo sforzo aiuterà anche a difendere il ruolo che il polo sanitario parmense h e merita di avere e di vedere sempre più rafforzato.

Ciò premesso, mi permetto una chiosa.

Leggendo gli articoli su questa questione, non mi ha colpito tanto l’emergere di qualche predicatore senza titolo, ma l’assenza di una riflessione più ampia. L’Azienda Ospedaliero-Universitaria, infatti, non è un’isola, ma è profondamente radicata nel tessuto cittadino.

Se si vuole cogliere la crisi per fare un salto di qualità, pertanto, non si può nascondere che questa vicenda è figlia di un sistema più complessivo, che si è, purtroppo, radicato nel tempo.

C’è bisogno – io credo – di una riflessione corale sulla Città, su Parma e Provincia, sulla loro condizione e su ciò che, tutti insieme, al di là delle appartenenze di vario genere, è necessario fare, per restituire a Parma una vera dinamicità, fatta di competenza, di capacità di iniziativa e di attenzione all’interesse generale. Questa vicenda, come tante altre del recente passato della Città, sono figlie, al contrario, di un esasperato particolarismo e di una incapacità di visione di insieme e di collocazione dei propri interessi in questa prospettiva generale.

PD

Che dire! Siamo alla vigilia di un congresso che sembra cominciare nel modo meno auspicabile: una pletora di candidati segretari.

Il PD litigioso, che la gente ha punito il 4 marzo, continua a riproporsi con le stesse caratteristiche.

È il segno del perdurante avvitamento, in una logica di resa dei conti, che non ha niente di politico e che, anzi, annulla totalmente la capacità politica.

Ne è la riprova l’afonia del PD in questa fase estremamente delicata e complessa.

Nel mezzo della discussione della legge di bilancio, il poco spazio, che ormai viene concesso sui giornali, è riempito dagli strali congressuali.

A chi giovi non si sa.

Io credo, però, che ciò che può fare un militante è di avere parole molto chiare, anche se scomode, e certamente non per lui fruttuose.

Non da oggi, è in corso uno scontro che ha riportato indietro le lancette dell’orologio al dopo Veltroni e Franceschini, quando la vita interna è stata impostata sul “confronto” tra le due anime.

Per questa strada, non si va da nessuna parte, perché questa è la strada che non aiuta a risolvere il problema di fondo e decisivo: la creazione di un clima di riconoscimento reciproco nelle differenze e di adesione ad una missione comune.

Oggi questo non c’è e, se non sarà ripristinato, non ci sarà congresso che tenga.

Spero che sulla centralità di questo aspetto si giunga a ragionare, perché oggi si vedono solo i prodromi di una inutile guerra di fazioni e di protagonismi, che non mi interessano e non mi appassionano. E credo di non essere solo.

Giorgio Pagliari

 

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