ERO BUZZIANO, ANZI, LO SONO ANCORA !  di Ennio Mora

di BorgoAdmin

In occasione del Convegno su Carlo Buzzi pubblichiamo questo intenso e commosso ricordo scritto alcuni anni fa dall’amico Ennio Mora. Data l’ampiezza del contributo, su questa newsletter ne viene pubblicata la prima parte, mentre la seconda apparirà su quella successiva

Quando Indro Montanelli tracciava il profilo di qualche personaggio era solito partire dai contatti diretti avuti con lo stesso, soprattutto dai colloqui; partiva cioè dal “vissuto”, poco o tanto che fosse, non dalle impressioni, né dai “sentito dire”, tanto meno dai giudizi altrui.Per ricordare Carlo Buzzi vorrei, molto modestamente, adottare questo metodo “empirico”, facendo riferimento soprattutto ad alcuni episodi che lo hanno visto “protagonista”, discreto ma oltremodo incisivo, in ordine a mie  scelte di natura politica e non solo politica. Tenterò cioè di coniugare i passaggi fondamentali della mia piccola esperienza politica con gli insegnamenti di Carlo Buzzi, che ho sempre considerato il mio punto di riferimento, il mio leader, il mio maestro di politica e di vita. Seguirò un ordine cronologico e mi sforzerò di far emergere, senza enfasi, i “messaggi” che mi ha mandato e che, penso, possano essere di grande attualità e di sicura utilità per tutti, soprattutto per i giovani che vogliano impegnarsi in politica.

UN GALEOTTO PROGRAMMA SOCIALE

  • Siamo alla fine degli anni sessanta o inizio anni settanta (non ricordo con precisione, ma poco importa). Io sono allora molto giovane, più o meno un ventenne, ed ho l’opportunità, offertami forse fin troppo precocemente (è una costante della mia vita non solo politica), di essere componente del Comitato Provinciale della Democrazia Cristiana, della Direzione e della Giunta provinciali con l’incarico al “programma sociale”. Elaboro un corposo documento programmatico, dopo aver consultato tutti gli esponenti democristiani impegnati nel sociale, i rappresentanti delle diverse realtà operanti nel campo della formazione professionale, della sanità, dell’assistenza etc, dopo aver raccolto dati, elementi e suggerimenti. Arriva il giorno in cui con preoccupazione ed apprensione (dati inamovibili  del mio carattere) illustro in direzione, se ben ricordo leggo addirittura, il lungo documento elaborato, che viene accolto con una certa freddezza, se non addirittura con noncuranza, dovuta certamente, oltre che alla pochezza dei contenuti (ma come si può giudicare un programma prima di averlo almeno ascoltato), ad una certa qual paradossale refrattarietà congenita di questi organismi verso le problematiche sociali ( non è giudizio qualunquistico ma esperienza diretta) e alla mia giovane età (scattava ovviamente l’impulso che diceva: ma cos’ha da insegnarci questo sbarbatello, oltretutto in tono critico – altro elemento inossidabile del mio carattere ). Del consesso faceva parte l’onorevole Buzzi, forse l’unico che seguiva con vera attenzione ed autentico interesse la mia esposizione e mi guardava con espressione mista di ammirazione, fiducia e compiacimento: un autentico toccasana per me, allora piuttosto timido, emozionato come non mai. Durante la discussione vengono espressi i giudizi, che vanno dallo scetticismo quasi offensivo (è un bel documento, ma da attaccare al chiodo – lascio alla facile immaginazione indovinare l’utilizzo conseguente) all’interesse di facciata o di maniera, all’entusiastico giudizio espresso dall’onorevole Buzzi (per lui il fatto che un giovane ventenne avesse presentato un programma sociale al massimo organo dirigente della D.C. parmense e che tale programma, pur nella sua ovvia limitatezza, contenesse indicazioni, stimoli, provocazioni, suggerimenti e proposte interessanti, era motivo di grande e visibile soddisfazione). Al termine della riunione mi esprime, con calore ed amicizia, la sua ammirazione e penso non sia difficile comprendere quale potesse essere il mio stato d’animo nel raccogliere un giudizio positivo da un parlamentare del mio partito. A tutti nei corridoi della sede manifesta grande soddisfazione, riporta il successo ottenuto dal programma e mi copre di sinceri elogi. Quale insegnamento “Buzziano” trarre da questo piccolo ma eloquente episodio: l’attenzione ai problemi sociali, la fiducia nei giovani, l’idea di partito aperto in cui un ventenne ha qualcosa da dire anche ad un deputato, la statura del leader che riesce con semplicità e sincerità a motivare le persone, la genialità dell’educatore che riconosce i meriti dell’allievo, il politico che non teme la critica ma la coglie con interesse, la consapevolezza che un partito si snatura se perde il contatto con i problemi sociali e se si allontana dalle forti idealità, ingenuamente ma significativamente portate avanti dai giovani.

IL GRAN RIFIUTO

  • Il secondo episodio che voglio richiamare si situa temporalmente a distanza di due anni circa da quello precedente. Si sta celebrando il congresso provinciale della Democrazia Cristiana e si apre, più o meno convulsamente, la bagarre delle candidature per le liste dei componenti il comitato provinciale. La componente di sinistra, di cui il senatore Buzzi è leader indiscusso, presenta una propria lista di candidati: io sono consigliere uscente e ritengo di non ricandidarmi. Non so fino a che punto influisse su questa mia determinazione la delusione per la prima esperienza fatta, la volontà di lasciare ad altri un’opportunità di impegno, il giudizio di autocondanna per i pochi risultati ottenuti col mio lavoro, la vena rinunciataria emergente costantemente dai miei comportamenti, figlia di un assurdo quanto spontaneo perfezionismo, presente nel mio carattere, e di un forte spirito critico che mi porta spesso a voltare pagina se non a strappare la pagina stessa. Il Senatore Buzzi (allora deputato) era perfettamente consapevole di queste mie caratteristiche e se si vuole, non ho difficoltà a riconoscerlo, di questi miei limiti o difetti. In tutti i rapporti avuti con lui, allorché esprimevo i miei intenti o le mie scelte a livello di rinuncia/denuncia, capivo che provava  nei miei confronti un profondo rispetto, ma che nascondeva a stento un forte rincrescimento per questi rifiuti non dettati da “viltà”, ma da spinta ideale così forte da essere paralizzante.  Torniamo all’inizio degli anni settanta in pieno congresso, con la lista da comporre e la mia intenzione di non farne parte. In un corridoio (è noto che i congressi si svolgono più nei corridoi che in sala, anche se Buzzi li viveva ascoltando gli interventi, prendendo appunti ed intervenendo nel dibattito con discorsi memorabili per densità di contenuto, emozionante spinta ideale e trascinante capacità di analisi politica) Carlo Buzzi chiede di potermi parlare a quattrocchi e mi pone il problema della ricandidatura. “Mi dicono che tu non intenderesti ripresentarti, ma non vorrei che questa voce fosse stata divulgata strumentalmente. Sai com’è la brutta faccia della politica!? Ti chiedo pertanto di esprimermi le tue reali intenzioni, garantendoti comunque che per la tua riconferma non esiste alcun problema, dipende solo da te” In questo discorso c’era la espressione di una incondizionata fiducia in me di cui ero molto fiero, ma anche l’assoluto rispetto per la mia volontà. Cosa pretendere di più? Era il più bello degli incoraggiamenti a perseverare nell’impegno. A questo punto deluderò tutti dicendo che tenni fermo il  mio rifiuto e Buzzi non fece ulteriore pressione. In questo episodio credo emerga dal comportamento di Buzzi la sua dotazione di quella indefinibile miscela che fa di una persona un leader: una grande attenzione per le persone, con un rispetto quasi religioso per le loro scelte, la capacità di infondere fiducia temperata da una sorta di pudore per il proprio carisma, la facilità di dialogo senza cadere nel paternalismo o nel condizionamento psicologico. Ho inoltre visto trasparire  in questo dialogo una concezione pulita ma non ingenua dei rapporti in campo politico: Buzzi conosceva il bello ed il brutto della politica, non si illudeva, ma affrontava le situazioni senza derogare ai principi, non si scandalizzava ma reagiva, con i fatti, all’andazzo scorretto.

DA ULISSE CORAZZA A CARLO BUZZI

  • Il terzo episodio che intendo richiamare è del 1975: elezioni amministrative del Comune di Parma. Mi ero laureato nel 1972, dal 1973 avevo cominciato a lavorare nel movimento cooperativo: Buzzi, che era stato prodigo di consigli e interessamenti nella fase di ricerca dello sbocco occupazionale, si era molto compiaciuto di questo mio inserimento nel mondo della cooperazione, un’idea forte per la socialità dei cattolici, un riferimento importante per i cattolici impegnati in politica, un elemento di enorme rilevanza storica, economica e politica per la vita democratica del paese. Buzzi è sempre stato molto attento al mio lavoro nel campo cooperativo, non perdeva occasione per chiedermi notizie, sapeva cogliere, anche nella fugacità di certi incontri casuali, gli aspetti positivi del mio operare ed  esprimeva, oltre che con le parole, con gli sguardi la soddisfazione per un impegno che, seppure in strade diverse dalla politica pura, continuava, non sottovalutando mai anche i più piccoli risultati positivi ed ascoltando sempre con attenzione, al limite della sofferenza, i problemi emergenti dalla società viva. Mi rinfranca e mi rallegra il ricordo di come Buzzi seguiva il mio lavoro in Confcooperative: oggi dopo aver abbandonato, frettolosamente anche se motivatamente,  il campo capisco ed apprezzo ancor di più il suo sostegno, il suo incoraggiamento; sono sicuro che avrebbe sofferto questa mia scelta di coerenza e dignità e mi avrebbe concesso tanti elementi di vera consolazione. Ma ritorno precipitosamente alle “grandi manovre” in vista delle elezioni amministrative a Parma del 1975. Avevo pensato di poter affacciare una mia candidatura a consigliere comunale:  abbandonato l’impegno all’interno delle strutture di partito, fatte importanti esperienze a livello di quartiere,  avviato ad una professione fortemente connotata sul piano sociale, ritenevo plausibile tentare “la scalata” al Consiglio Comunale di Parma.Fin da ragazzino avevo avuto un grande interesse per l’amministrazione della mia città, assistevo con trepidazione alle riunioni del consiglio comunale, seguivo i dibattiti di tale consesso, mi rendevo conto che lì pulsava il cuore politico di Parma. Mi sia consentita una rapida digressione per esprimere nostalgia per quei tempi in cui il dibattito politico in consiglio comunale toccava livelli qualitativi oggi inimmaginabili; la partecipazione dei cittadini era forte e motivata, i consiglieri rappresentavano realtà importanti della vita cittadina (mi viene spontaneo aggiungere l’odierno mio fastidio per i sindaci plenipotenziari, per gli assessori in costante défilé, per i consiglieri penosamente ossequienti e ratificanti etc.).  Fatto sta’ ed è che nel 1975 avevo una mezza idea di candidarmi per il consiglio comunale di Parma nella lista della Democrazia Cristiana. Ma come al solito cominciarono a prendere consistenza i dubbi e le perplessità: la campagna elettorale sarebbe stata troppo difficile ed impegnativa ed avrebbe rischiato di sottrarre tempo alla mia ben avviata professione; non avrei avuto i necessari appoggi elettorali per una battaglia che si profilava molto dura; all’interno del partito, la mia convinta adesione alla componente minoritaria di sinistra mi metteva in una posizione di debolezza; la lista si preannunciava zeppa di candidati veri; la mia notorietà era limitata, considerata la giovane età (25 anni) e l’esperienza modesta in campo politico e sociale; i consiglieri uscenti partivano ovviamente avvantaggiati in una battaglia che si profilava all’ultimo voto di preferenza. Tra i motivi contrari alla candidatura pesava come un macigno il mio atteggiamento di severa critica verso la gestione del partito a Parma, un partito in cui facevo sempre più fatica a riconoscermi ed a collocarmi convintamente, nonostante mi rendessi conto della necessità di sostenere la visione più aperturista e progressista, portata avanti dalle componenti di sinistra: non mi vergogno ad ammettere che la mia adesione alla D.C. era mediata dalla fiducia nella linea avanzata, testimoniata in primis, almeno a Parma, da Carlo Buzzi (forse prima di essere democristiano ero buzziano). Ma abbandono un discorso che porterebbe lontano e torno al 1975 ed al mio stato d’animo dubbioso verso la candidatura.  Ci stavo ripensando e propendevo per il no: forse era meglio lasciar perdere (rispuntava il solito Ennio Mora rinunciatario, un marchio che mi trascino da sempre, che solo in parte rispecchia la verità). Non ricordo in qual modo, ma Carlo Buzzi espresse la volontà di parlarmi a quattrocchi: il colloquio si svolse nella semplice ed austera saletta attigua al suo studio. Ci sedemmo in brutte e scomode poltrone: il colloquio si profilava amichevole, lontano dall’ufficialità del suo pur spartano ufficio; credo che avesse volutamente scelto di incontrarmi in quella saletta per sottolineare il tono che la chiacchierata doveva avere, da uomo a uomo, da amico ad amico. Buzzi mi chiese quali fossero le mie intenzioni in ordine alla candidatura per il consiglio comunale non nascondendo, fin dall’inizio, il suo parere favorevole ad una  mia scesa in campo. Gli spiegai con calma i dubbi e le perplessità che erano insorti soffermandomi particolarmente sul giudizio aspramente critico nei confronti della D.C. parmense: come e perchè candidarmi nella lista di un partito di cui ero un tesserato, un militante, ma sempre più con forti divergenze verso la sua linea politica a livello nazionale ma soprattutto a livello locale (si trattava infatti di una consultazione elettorale amministrativa).Il mio autorevole interlocutore non perse tempo ad analizzare i motivi contrari da me addotti, ma andò dritto al cuore del problema fulminandomi con una similitudine: “Vedi Ennio, mi disse in tono mite ma estremamente serio, Ulisse Corazza, l’eroe che diede la vita sulle barricate antifasciste del 1922, era un consigliere comunale del partito popolare, era un giovane  più o meno come te, un uomo dell’oltretorrente come te, era un cattolico come te, era critico nei confronti del suo partito come te e forse più di te”.

OLTRETORRENTE, ANTIFASCIMO, FEDE CATTOLICA

Si trattava di una lezione interdisciplinare: Buzzi aveva sulla questione ben sintetizzato storia, geografia,sociologia, psicologia, politica. Di più non mi poteva dire ed altro io non potei aggiungere. Aveva colpito nel segno, non mi rimase che salutarlo promettendo una sollecita e definitiva decisione. Avevo in bocca il sapore di un inebriante cocktail socio – politico che, da provetto ed improbabile barman, Buzzi mi aveva servito.Penso non sia difficile immaginare quanti pensieri siano passati nella mia mente nelle ore successive. L’oltretorrente, il rione dove ero nato e cresciuto, dove avevo respirato la politica fin da bambino, dove i borghi, gli angoli, gli androni delle case parlavano di antifascismo, dove la gente aveva eretto le barricate contro la prepotenza del fascismo, dove la battaglia politica nel dopoguerra si era svolta in modo aspro e sanguigno, dove il popolo, pur tra mille contraddizioni, sapeva esprimere solidarietà, dove si era formata ed aveva vissuto la mia famiglia. Se mi è consentita una rapida digressione vorrei dire che mi fanno ridere gli odierni assurdi proclami anticomunisti.  Pontificare sull’anticomunismo oggi è una questione da polemichetta strumentale. Essere anticomunisti allora poteva avere un senso, anche se Buzzi mi ha insegnato che il dialogo a sinistra era fondamentale e andava perseguito coraggiosamente. Sono stato fedele a questo insegnamento, nel quartiere, nelle sezioni di partito, nel sociale, nella scuola, nel mondo del lavoro ed ho sempre ottenuto dei piccoli ma importanti risultati: la collaborazione e l’amicizia a servizio del bene comune. E’ un terreno delicato  sul quale Buzzi si muoveva con equilibrio, ma con quel coraggio che mi piaceva tanto. Io ho potuto testare il vero comunismo italiano, in una delle sue culle principali e popolari, forse la più significativa. Ne ho potuto valutare i pregi, i difetti, i pericoli alla base del suo elettorato.Permettetemi di richiamare solo uno di questi difetti: l’anticlericalismo.Non fu così facile per la mia famiglia, vivere in quel tessuto sociale professando e praticando la fede cattolica: mia madre ne parlava spesso, riconoscendo che il segreto della convivenza pacifica fu la condivisione dei principi di umana solidarietà, che giustamente vengono prima dello scontro politico.Quell’oltretorrente ben conosciuto da Buzzi, che vi era nato, vissuto e vi aveva svolto la professione di maestro elementare, diventava un legame che mi spingeva alla battaglia elettorale. L’antifascismo di Ulisse Corazza, quello della prima ora, quello vero, fatto di autentica idealità, totalmente impermeabile a qualsiasi revisionismo (che va di moda, giusto o sbagliato che sia), quello dei cattolici, quello di Buzzi,di mio zio sacerdote, il mio antifascismo, quello della Parma che non scherzava e non dormiva mi metteva alla punta. E poi il richiamo alla fede cattolica: non era forse negli oratòri frequentati, nell’associazionismo cattolico da me assiduamente praticato che avevo assorbito la sensibilità ai problemi politici, la disponibilità all’impegno partitico. Non era tramite gli ambiente cattolici, non era nelle discussioni in ambito familiare (mia sorella soprattutto) che avevo inizialmente conosciuto Carlo Buzzi, il politico di riferimento il cui fascino mi aveva catturato fin da adolescente? Al riguardo resta storico ed emblematico nella mia vita un episodio gustoso che voglio brevissimamente raccontare. Ero poco più che bambino, tredicenne forse, quando andai solo – soletto in bicicletta al comizio che l’onorevole Buzzi avrebbe tenuto in Piazza Garibaldi dal balcone del Palazzo del Governatore, in un caldo pomeriggio primaverile di campagna elettorale politica.Il comizio cominciò in modo magnifico, Buzzi era un oratore, anche da piazza, ma un temporale ci mise la coda, si scatenò un autentico diluvio che causò l’interruzione del discorso; riprese a parlare a pioggia ultimata in un crescendo  “buzziano”, con l’entusiasmo degli aficionados tornati all’aperto dopo la pausa di ricovero sotto i portici. Me ne tornai a casa, visibilmente soddisfatto, voglioso di raccontare la bella esperienza: trovai tutta la famiglia in subbuglio, causa le apprensioni di mia madre che aveva immaginato, per la prolungata mia assenza, un mio coinvolgimento in qualche incidente causato dal temporale. Era stata fatta una ricerca telefonica al pronto soccorso e mancava poco ad una richiesta di intervento della polizia. Rimasi sbigottito e faticai non poco a superare i rimbrotti, ma trovai comunque la forza di raccontare la mia partecipazione entusiastica al comizio dell’on.le Carlo Buzzi. Aneddoti a parte, Buzzi aveva toccato, richiamando Ulisse Corazza, le corde giuste, anche quella della fede e dell’impegno cattolico. Su questo piano Carlo Buzzi era un testimone oltremodo credibile: la sua capacità di coniugare fede e politica era incomparabile. Il suo esempio era lì, a disposizione, bastava volerlo cogliere ed imitare. Egli pur partendo da una fede cristallina aveva una visione laica della politica (mi fanno ridere gli odierni Teodem, Teocon, atei devoti e compagnia cantando). L’ unico appunto che mi sentivo di fare a Buzzi riguardava il suo atteggiamento, non di compromissione tattica, ma di troppo ossequiosa e riguardosa attenzione alla gerarchia cattolica: forse la sua educazione glielo imponeva, forse ciò era dovuto alla  stessa nascita della sua vocazione politica, forse tutto dipendeva dal  costante richiamo all’azione cattolica. Sia chiaro non si trattava di strumentale ed opportunistica piaggeria, né di preoccupazione elettoralistica, né di moralismo di comodo (di tutto questo è piena la politica attuale).Tuttavia una puntina di clericalismo di troppo forse c’era e non mancavo ironicamente di rilevarla: marcavo a volte vistosamente il mio dissenso con graffianti giudizi sulle gerarchie cattoliche. Buzzi non si scandalizzava delle mie intemperanze, conosceva la mia mentalità, le mie origini, la mia storia, mi comprendeva, forse mi compativa…..

(continua sul prossimo numero di BorgoNews – qui)

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