NOTE A MARGINE DELLE ELEZIONI di Giorgio Pagliari

di BorgoAdmin

Pubblichiamo, con il consenso dell’autore, un contributo sull’esito delle elezioni europee già oggetto di diffusione. Ci permettiamo di aggiungere che il commento è al netto del forte astensionismo, dato comunque politicamente rilevante.

Due partiti vincitori: Fratelli d’Italia e Partito Democratico. Due risultati di rilievo: Alleanza Verdi e Sinistra e Forza Italia.  Due tracolli: Movimento 5Stelle e Lega (rispetto alle Europee 2019). Una sconfitta cercata e assurda: quella di Stati Uniti d’Europa e di Azione. Tristissima pagina, che “taglia le gambe” non solo e non tanto ai due “leaders”, quanto alle prospettiva di un centro autonomo, posto che si sarebbe delineata un’area complessiva, compresa For4za Italia,  di circa il 20%. Sul piano delle preferenze, spiccano la performance della Meloni oggettivamente notevole e quella di De Caro e di Bonaccini candidati in una sola circoscrizione, ma “gravati” da una valanga di preferenze. Ed è evidente che il successo ottenuto da De Caro nelle note condizioni lo proietta sulla scena nazionale come “alter ego” o “co-leader” rispetto alla Segretaria pidina.Questa la mia sintesi delle europee 2024.Ed ora?

Per il centro-destra, forte del 47% dei consensi espressi, non sembra tutto oro quello che luccica, anche se la consolidatissima leadership della Meloni è un robustissimo punto di forza. Il primo problema appare rappresentato dal leader della Lega, non – si noti – dal partito leghista in sé. I segnali sono già stati tanti, se non troppi: dal sostegno a Putin, alla candidatura del generale, al flirt con leader europei improponibili, alla smania di protagonismo incontrollato. La Lega non sembra in grado di liberarsi di questo segretario, che vuole sopravvivere a sé stesso e che non è capace di riconoscere la fine della propria parabola. E, se è vero che non è in grado di far cadere il governo perché la Lega non lo seguirebbe, non è contestabile che può essere un fattore non marginale di logoramento. Il secondo possibile intoppo è costituito dalle difficoltà del bilancio, che possono costringere a scelte drastiche, che gli alleati potrebbero non essere in grado di sostenere per problemi elettorali. Il terzo interrogativo è rappresentato dalla legge sull’autonomia e dalle riforme costituzionali perché comportano percorsi parlamentari accidentati e non del tutto scontati. Paradossalmente (ma non troppo) potrebbero costituire un ostacolo minore i referendum abrogativi.

Per il centro-sinistra, cioè per il PD e per Alleanza Verdi e Sinistra, “luccicano” i risultati. I due partiti, i cui percorsi paiono destinati ad un’alleanza elettorale, sembrano avere problemi diversi. Alleanza Verdi e Sinistra pare obbligata a concentrarsi sulla crescita e sul consolidamento di un inaspettato risultato sicuramente positivo, frutto della linea verde e – credo – del crollo M5S; un consolidamento, che passa per la definizione di una proposta di governo “sostenibile”, che è qualcosa di assai più complesso del “no” riservato ad ogni proposta infrastrutturale. Una proposta, che sarebbe un contributo importantissimo alla costruzione del progetto di governo di una futura alleanza di centro-sinistra, che dovrà comunque rappresentare una sintesi bilanciata tra istanze “verdi” e “non verdi”. Da parte sua, il PD è oggi, paradossalmente, la “novità” grazie ad un risultato clamoroso, che appare essenzialmente il frutto del ritorno in questo partito di un nutrito gruppo di elettori trasmigrati nei 5S. L’interrogativo è se questo partito saprà rappresentare davvero una novità, cogliendo il segnale implicito di questo decisivo travaso di voti. Da un lato, infatti, sia il ritorno a casa, sia il conseguente tracollo dei 5S, destinato a continuare, indicano che i vecchi schemi rispolverati con il “campo largo” sono inadeguati e superati; dall’altro, il limite di questa vittoria è che appare il frutto di una resa dei conti all’interno dell’area delle opposizioni senza nessun recupero a danno della maggioranza; dall’altro, infine, è evidente che, soprattutto per questo, ciò che è richiesto al PD è di “navigare in mare aperto”, di smetterla di inseguire le sigle partitiche e di essere autore di una propria proposta politica, cessando di essere coprotagonista della politica del “no” così cara ai 5S e non solo e attrezzandosi per un confronto su progetti alternativi con questa maggioranza. Progetti, che saranno assolutamente attrattivi se risulteranno frutto di un riformismo vero e diverso, quale può offrire solo una classe politica, che rifugga dagli ideologismi anacronistici, dagli schemi e dallo strumentario del ‘900 e che sappia coraggiosamente imporre quelle scelte forti, che sono richieste per una società più giusta. Società che non è quella del conflitto, ma della collaborazione fondata sulla solidarietà, come indica la nostra Costituzione, e che necessita di una Politica indipendente ed autorevole.

Un’ultima chiosa. Di un “riformismo vero e diverso” l’Italia ha già beneficiato nel dopoguerra e sono convinto che, come allora, chi lo saprà proporre sarà premiato dall’elettorato.

 

 

 

 

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