IMPRESSIONI DALLA COP-28: UN DIFFICILE BILANCIO GLOBALE di Anna Chiara Nicoli

di BorgoAdmin

Si è conclusa il 13 di dicembre la conferenza delle Parti della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici dell’ONU (COP-28) con un accordo compromissorio, risultato di un lungo negoziato. Il testo finale del Global Stocktake, approvato nelle ultime ore della conferenza, sancisce per la prima volta in modo ufficiale l’impegno delle Parti alla transizione verso l’uscita dai combustibili fossili (si parla, esattamente, di “transition away”). Per capire come si è arrivati al raggiungimento di un tale accordo e cosa comporterà, concretamente, si possono ripercorrere gli snodi cruciali della COP-28. Quasi alla fine della conferenza, infatti, il raggiungimento di un accordo di mediazione tra le posizioni delle Parti sembrava del tutto incerto, tanto che il segretario dell’UNFCC, Simon Stiell, richiamando i Governi ad agire, aveva affermato che “abbiamo un primo testo sul tavolo, ma è un cumulo di speranze e di posizioni diverse.” Espressione che rende perfettamente la complessità dei negoziati di Dubai fin dall’apertura della conferenza da parte del presidente Al-Jaber, contestato a più riprese per le opinioni espresse, giudicate dagli attivisti al limite del negazionismo climatico. La scelta di tenere la conferenza negli Emirati Arabi Uniti – trai dieci paesi al mondo per produzione di petrolio e di emissioni di gas serra pro capite – è stata giudicata da molti paradossale e contraddittoria. Il presidente della COP, oltre a rivestire la carica di Ministro, è anche l’amministratore delegato della Abu Dhabi National Oil Company (ADNOC), l’azienda petrolifera statale. Alcuni esperti, tuttavia, non hanno mancato di sottolineare l’importanza di dialogare e raggiungere un accordo anche con tutti i paesi che hanno un’economia legata al petrolio e ai combustibili fossili (tra cui i paesi appartenenti all’OPEC); solo un compromesso condiviso, infatti, potrebbe portare ad un cambiamento più forte.

Nonostante gli impegni in materia di clima presi ormai da molti anni, la direzione dei lavori è stata quantomai incerta, anche a causa delle tensioni geopolitiche attuali, che hanno determinato equilibri estremamente delicati, rendendo difficile trovare un accordo di respiro globale. Come ricordato dal Papa nel proprio messaggio rivolto alle Parti, ricostruire la fiducia e il multilateralismo tra gli Stati è fondamentale sia per la cura del creato sia per la pace, “le tematiche più urgenti e collegate tra loro”. Com’è noto, nel corso della conferenza annuale si discute in merito all’implementazione, al rispetto e all’aggiornamento dell’Accordo raggiunto a Parigi nel 2015; il trattato, così come modificato dalle conferenze successive, prevede l’impegno da parte di tutte le Parti della Convenzione Quadro di mantenere la temperatura terrestre sotto la soglia di 1,5° C rispetto ai livelli preindustriali. I temi affrontati nel corso della conferenza n. 28 sono stati molteplici – la finanza climatica, il fondo Loss and Damage, i giovani, il ruolo delle donne, le interazioni tra clima, salute e sistemi alimentari – e la partecipazione è stata estremamente numerosa (il numero più alto di sempre, anche degli appartenenti alla lobby dei combustibili fossili, presenti in 2456[1]). Tuttavia, concretamente, il vero fulcro dei negoziati è stato il dibattito sorto intorno ai combustibili fossili, e, più in generale, sull’approvazione del c.d. “Global Stocktake” (GST)– traducibile come bilancio globale – per la prima volta valutato e discusso all’interno di una COP.  Il Global Stocktake – meccanismo fondamentale previsto dall’art. 14 dell’Accordo di Parigi – è uno strumento nato per operare, ogni cinque anni, un’autovalutazione globale, che monitora i risultati raggiunti e consente l’approvazione di eventuali modifiche con l’adozione di un testo finale. Il citato bilancio, dunque, fa parte di un processo articolato su tre pilastri – le politiche di mitigazione, quelle di adattamento e i mezzi di attuazione e sostegno – e basato su una pluralità di fasi (raccolta e analisi dati, relazioni tecniche, approvazione dell’accordo). Fin dall’inizio, dunque, il vero obiettivo della Cop-28 era l’approvazione di un documento politico e condiviso, che fissasse nuovi obbiettivi ambiziosi e calibrasse quelli già individuati nell’Accordo di Parigi, orientando i futuri passi delle strategie nazionali. Proprio il testo finale del GST, infatti, risulta essere e costituirà il punto di partenza per i prossimi NDC’s, i contributi determinati a livello nazionale, ovvero i piani che sintetizzano le politiche climatiche a medio termine delle Parti, con particolare attenzione alle emissioni. Trovare un accordo ambizioso a livello globale, in altri termini, significa spingere tutti i paesi a muoversi più rapidamente verso obbiettivi più forti, attenti al futuro della terra e dei diritti delle persone.

Proprio nel solco di tale processo si è inserito il citato dibattito in merito ai combustibili fossili. Il tema – fil rouge della conferenza – era già emerso il 30 novembre, giornata di apertura della COP-28, quando, a seguito dell’accordo sul fondo loss and damage, il presidente Al-Jaber ha provato a negoziare il passaggio dal “phase out” (l’uscita totale) al “phase down” (la graduale riduzione) dai combustibili fossili, riaprendo una battaglia “terminologica” che si era aperta fin dalla COP-26 di Glasgow. Lo stallo tra le posizioni divergenti è stato risolto a sorpresa proprio l’ultimo giorno, con un accordo basato sulla transizione (“transition away”) dai combustibili fossili nei sistemi energetici, che andrà effettuato in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l’azione in modo da raggiungere lo zero netto entro il 2050[2]. Da molti osservatori, l’approvazione del Global Stocktake, condiviso a livello globale nei termini individuati, e con il timore – fino all’ultimo – di non raggiungere affatto un accordo, rappresenta un vero e proprio successo diplomatico. Rimangono però alcune criticità che non possono non essere richiamate. Saranno le Parti – singolarmente, o anche in termini multilaterali – a realizzare in concreto l’accordo, che senza l’impegno effettivo, serio e costante non rimarrà che un altro “testo storico”. È difficile immaginare come alcuni paesi, che hanno osteggiato anche una sfumatura di linguaggio, possano avere una reale intenzione di agire rapidamente con politiche di transizione energetica, abbandonando di fatto una delle fonti più importanti della loro economia. Anche l’Italia, che rientra tra le Parti (singolarmente, e come Stato dell’UE) più favorevoli all’implementazione dell’Accordo di Parigi, è scesa secondo il Climate Change Performance Index 2024[3], di quindici posizioni in un anno (dal 29° al 44° posto della classifica) a causa delle politiche climatiche insufficienti e al rallentamento della riduzione delle emissioni. Quantomeno a livello nazionale, si spera che vengano presi seriamente gli impegni sottoscritti nel Global Stocktake della COP-28, per slanciare in avanti le politiche climatiche ed incidere positivamente sulla comunità. Se non lo facciamo noi, come possiamo pensare che lo facciano gli altri?

 

[1] Release: Record number of fossil fuel lobbyists at COP28 | Kick Big Polluters Out

[2] Il testo originale del documento, art. 1 lett. d), afferma esattamente“(d) Transitioning away from fossil fuels in energy systems, in a just, orderly and equitable manner, accelerating action in this critical decade, so as to achieve net zero by 2050 in keeping with the science”. Nell’accordo finale le Parti si sono impegnate anche ad altri impegni rilevanti, trai quali spicca lo sforzo per triplicare la capacità di energia rinnovabile a livello globale.

[3] Italy – Climate Performance Ranking 2024 | Climate Change Performance Index (ccpi.org)

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