GPA. ALCUNE RIFLESSIONI    di Erica Romanini

di BorgoAdmin

La recente approvazione della normativa che rende “reato universale” il ricorso alla GPA (gravidanza per altri) ha suscitato interrogativi e riflessioni di varia natura anche all’interno del nostro Circolo. Abbiamo perciò ritenuto opportuno approfondire l’argomento sulla nostra newsletter chiedendo il parere di alcune persone, esperte a vario titolo dell’argomento. Quello che segue, a firma di un’ostetrica dell’Azienda Ospedaliera di Parma, è il primo di questi contributi sul tema, cui ne seguiranno altri sui prossimi numeri della newsletter.

Il mese scorso è stata varata una normativa che rende punibili le coppie italiane con figli nati all’estero tramite GPA (gravidanza per altri). In Italia tale pratica era già vietata. Ora lo diventa anche per gravidanze avvenute all’estero. Se per qualcuno tale norma è passata probabilmente inosservata, in altri invece ha stimolato riflessioni di vario genere. La prima riflessione che mi viene è quanto forte possa essere il desiderio di maternità e di paternità in una persona o in una coppia. In una società sempre più abituata a poter realizzare qualunque desiderio, per quanto riguarda il diventare mamma e papà può non bastare ed è curioso come la natura di cui ormai conosciamo tanti segreti, tenga ancora per sé la procreazione. Per la nascita di un bambino occorre il corpo di una donna, e a volte non basta. Nel corso degli anni la scienza ci ha offerto la possibilità di oltrepassare i limiti legati all’infertilità di coppia o all’assenza di un partner maschile e tante situazioni fino a pochi decenni fa non prevedibili come la fecondazione artificiale, oggi sono entrate a far parte della nostra quotidianità. Ma di mezzo c’è sempre il corpo di una donna. E un bambino, o una bambina. Dove sta il limite da non superare? Possiamo dire con certezza cosa è giusto e cosa è sbagliato?

In mezzo ci sono tanti attori e attrici protagoniste e a seconda del punto di vista da cui guardi scopri diritti e limiti. Ognuno con il proprio bagaglio di sogni e sofferenze. Così come concepire e attendere la nascita di un figlio è motivo di gioia e sorpresa in molte famiglie, con quella attesa fatta di test di gravidanza positivo, calcetti nella pancia e corsi preparto, in tante altre il desiderio di un figlio si scontra con limiti umani che oggi può essere difficile accettare e non provare a superare. La GPA muove emozioni. Sappiamo quanto importanti siano quei nove mesi nella vita di una persona. Un bambino crea relazioni profonde con la madre che lo porta in grembo. Quanto sia forte per un bambino la ricerca della madre dopo essere nato, consolante ritrovarne il calore, l’odore, la voce, il sapore… Quanto sia importante la relazione con la madre nella vita. Sappiamo anche però l’importanza dell’amore. Di quanto per un bambino sia vitale il sentirsi amato, consolato, protetto e non solo dalla madre.

La madre, altra attrice protagonista. Ogni gravidanza è un pezzo di vita importante. Il corpo si trasforma per accogliere una nuova vita. In quei nove mesi la donna attraversa un cambiamento che non è solo il pancione. La donna si avvicina alla sensibilità del bimbo, comincia a produrre ormoni, il corpo si prepara ad allattare. E il padre, di cui a volte ci si dimentica. Il padre, il cui ruolo nella società è cambiato tantissimo nel corso degli anni e che la stessa società vuole ormai alla pari nell’accudimento dei figli. Uomini che desiderano essere genitori. Padri sempre di più presenti nella vita dei figli, che però non possono partorire né allattare. Come ostetrica mi fermo qui. Con i dubbi che anche la professione fa nascere dentro di me. Dubbi legati al diritto di ogni bimbo e di ogni bimba di essere amati e rispettati e di non essere trattati da oggetti. Il diritto di ogni donna di decidere del proprio corpo ma anche del rispetto per il proprio corpo, senza l’ombra di sfruttamento o povertà. Il diritto di ogni uomo al desiderio della paternità. E con la speranza che al centro ci sia sempre il bene dei più piccoli e dei più indifesi e non la volontà di punire quel desiderio di genitorialità che per qualcuno non è realizzabile diversamente.

 

 

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