DOV’È LA PARITÀ CHE CI AVETE PROMESSO?    di Francesca Musiari

di Redazione Borgo News

Dov’è la parità che ci avete promesso? Giovani domande al mondo adulto: questo era il titolo dell’incontro che si è svolto mercoledì 30 marzo organizzato dall’Associazione FamigliaPiù.L’occasione di dialogo fa parte del progetto Open, finanziato dalla regione Emilia Romagna, di cui è capofila il Comune di Parma, riguardante la tematica della parità di genere. Rita Torti, autrice del libro Mamma perché Dio è maschio? Educazione e differenza di genere, mi ha coinvolto insieme a Veronica Longi, 12 anni, coraggiosissima studentessa al secondo anno della scuola secondaria di I grado, per creare un dialogo tra generazioni differenti, che raramente trovano occasioni per parlarsi, osservare le diverse esperienze e interrogarsi sulle responsabilità del mondo adulto e sui desideri delle nuove generazioni.Rita Torti, introducendo la serata, ha voluto porre le basi per costruire un discorso comune partendo da una semplice domanda: cosa sono gli stereotipi di genere? Il termine stereotipo deriva dal lessico tipografico e fa riferimento alla lastra di zinco utilizzata come matrice di stampa per imprimere una figura: è qualcosa di fisso e ripetibile all’infinito senza possibilità di cambiamento.  Gli stereotipi di genere funzionano allo stesso modo: sono dei veri e propri recinti, più o meno claustrofobici, che delimitano in maniera chiara non solo come sia possibile costruire la propria identità nel presente, ma anche come si possa immaginare il proprio futuro e cosa sia lecito desiderare per sé. Uscire dal recinto di ciò che è considerato da femmine e da maschi è ancora oggi piuttosto complesso, poiché viviamo in una società fortemente impregnata da tali preconcetti che, in forma più o meno violenta, limita l’autentica espressione identitaria di sé.La stessa gabbia Veronica la ritrova anche in classe, dove è praticamente impossibile parlare in maniera naturale di mestruazioni, così come invece dovrebbe essere. Perché non si riesce a parlarne normalmente? Perché vengono spesso fatte battutine o commenti inopportuni? Anche io, da 27enne, mi interrogo molto a riguardo e, mentre Veronica parlava, ho ammirato tantissimo la spontaneità con cui parla senza vergogna di mestruazioni. Veronica racconta di episodi avvenuti nella sua classe e di come le sue letture l’abbiano invece aiutata a conoscere il cambiamento del proprio corpo durante la pubertà, dal punto di vista anatomico e emotivo, in quel gran casino che è l’adolescenza. Davanti ad atteggiamenti che le andavano di traverso, non è rimasta con le mani in mano e si è affidata agli adulti intorno a sé. Ne ha parlato con i genitori e ha proposto poi due libri alla sua prof. di italiano, Fazzoletti rossi e E’ tutto un ciclo, la quale ha colto i suoi consigli e ne ha tratto spunti per le sue lezioni alla classe. Personalmente ritengo che una delle lacune di cui è responsabile il mondo degli adulti risieda proprio nell’esperienza di Veronica: il non poter parlare di determinati argomenti e l’aver tenuto troppo a lungo questioni considerate più spinose e pericolose sotto al tappeto. La scoperta della sessualità, il sesso, l’educare all’affettività sono uno di questi tabù e, secondo la mia esperienza di educatrice scout, è frequente imbattersi in adulti, genitori, educatori, educatrici ed insegnanti, poco attrezzati a rispondere in maniera competente ed empatica a determinate domande, particolarmente urgenti in adolescenza. Tutto ciò non fa altro che alimentare una mentalità secondo cui parlare di sessualità sia in qualche modo sbagliato e vergognoso, soprattutto per le donne, una delle gabbie di pensiero con le conseguenze più rovinose. Al contrario, l’educazione alla sessualità è fondamentale perché consiste, primariamente, nel gettare alcuni semi importanti: il rispetto dei corpi, il riconoscimento delle proprie emozioni, per distinguere ciò che ci fa stare bene da ciò che non ci piace, per saper dire sì, in maniera autenticamente libera, e dire no, senza paura delle possibili reazioni altrui, consapevoli che il corpo appartiene in primo grado a noi stessi soltanto. Quello che cerco di fare come educatrice è scorgere i bisogni delle ragazze e dei ragazzi e renderli fertili, per creare l’occasione poi di parlare in maniera differente e nuova di corpi che crescono e delle persone che li abitano. Uno dei compiti del mondo adulto è quello di rivolgersi alle generazioni più giovani con uno sguardo attento, orecchie disposte ad ascoltare veramente, cercando di cogliere la direzione che stanno indicando, quella verso cui si muoverà il mondo.La mia speranza, da giovane adulta, è quella di rinnovare reciprocamente l’alleanza tra generazioni, iniziare a decostruire progressivamente dentro e fuori di sé gli schemi patriarcali in cui siamo immersi per liberarsi definitivamente da quelle gabbie perché cominciano davvero a fare un gran male a tutti e tutte noi.

 

 

 

 

 

 

 

 

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