LE ARMI DELLA PACE (MA NON “LA PACE DEI SEPOLCRI”) di Guido Campanini

di BorgoAdmin

La benemerita associazione “Help for Children” (in volgare italiano, “Aiutiamo i bambini”) ha,  fra le tante iniziative, quella di portare in estate nel Parmense bambini provenienti dalla Russia Bianca (o Bielorussia) e dal popolo Sharawi, che abita quel territorio senza nome proprio, chiamato Sahara Occidentale. A conclusione dei festeggiamenti per i propri venticinque anni di vita, l’associazione ha organizzato una tavola rotonda sul tema “Le Armi della pace. Quali alternative all’uso della forza militare?”  con tre ospiti di accezione, ossia Domenico Quirico, già celebre giornalista di guerra e inviato speciale della Stampa, Fatima Nahfoud, rappresentate in Italia del Fronte Polisario (fronte di liberazione del popolo Sahrawi dalla dominazione spagnola prima, e marocchina ora, popolo che vive un territorio chiamato Sahara Occidentale, fra Marocco e Mauritania) e il card. Matteo Maria Zuppi, Arcivescovo di Bologna, Presidente della CEI e già inviato speciale del Papa per tentare di fermare la guerra fra Russia e Ucraina. A  coordinare, l’ex direttore della Gazzetta di Parma Michele Brambilla, a suo tempo anche collega di Quirico alla Stampa. La serata si è svolta lunedì 15 gennaio, in quello splendido salotto che è diventato san Francesco del Prato, quando viene usato, fortunatamente spesso, per attività culturali di alto livello. Dopo l’introduzione di Chiara Cacciani, ed i saluti di rito del Sindaco Michele Guerra dell’assessora regionale Barbara Lori e del Presidente di Help for Chilfren Giancarlo Veneri, si è entrati in medias res. Poiché chi scrive è riuscito ad entrare un poco fortunosamente, e dovendo stare in piedi per gran parte della serata, non è riuscito a prendere appunti, più che una cronaca minuziosa ed un fedele riporto della serata, si soffermerà su alcuni spunti, postmettendo talune osservazioni personali

Fatima Nahfoud ha subito ricordato la vicenda del popolo cui appartiene, e del territorio che, secondo le Nazioni Unite, dovrebbe stabilire tramite referendum se autogovernarsi come Nazione indipendente, o restare sotto il controllo del Regno del Marocco. Poiché è facile capire come andrebbe a finire il referendum, questo non si è ancora tenuto (aggiungo io), lasciando questo popolo senza Patria e senza Stato internazionalmente riconosciuto. Nahfoud ha descritto come il popolo Sahrawi, pur vivendo in situazioni di fortuna ed in tendopoli, grazie certamente agli aiuti  di tanti amici sparsi nel mondo, fra cui Help for Children, abbia notevolmente migliorato le proprie condizioni, ad esempio con una massiccia azione di alfabetizzazione, per cui i Sahrawi sono tra i popoli più alfabertizzati dell’Africa. Non è però stato detto, né chiarito, se il Fronte Polisario ricorra o meno alla lotta armata. Particolare non trascurabile, perché occorre comprendere se il “No alle Armi!”, proclamato a gran voce poi da Quirico, e sottinteso dal titolo della serata, vale per tutti o solo per alcuni. Nella serata non si è parlato più di tanto del conflitto “eterno” fra Israele e palestinesi, né dei tragici avvenimenti di queste settimane, dove per chi scrive tutti hanno perduto il lume della ragione, tutti hanno torto: ma in certa parte della pubblica opinione pacifista sembra che l’uso delle armi sia lecito ad alcuni, a chi cioè combatte per la propria liberazione o libertà, e non ad altri – salvo poi faticare a capire se Israele, ad esempio, si sta difendendo o attaccando, e se l’Ucraina, aggredita tanto quanto i palestinesi o il popolo Sahrawi, ha diritto o meno a difendere con le armi i propri abitanti e a liberare i territori occupati dai russi.

Quirico, ricordando di aver rischiato di finire nei tribunali di Putin a causa dei suoi reportage dal fronte russo-ucraino, ha parlato di quella guerra come di una guerra “classica”, ottocentesca, fra Stati – una guerra che dopo il 1945 sembrava impensabile, soprattutto in Europa. Non una guerra di liberazione; non una guerra civile – come quella tragica avvenuta nei Balcani trent’anni fa, dove anche i cristiani, cattolici o ortodossi che fossero, si sono macchiati di delitti atroci; non una guerriglia rivoluzionaria, come in Vietnam o in America latina: ma una classica guerra fra Stati. Una guerra che, secondo Quirico, si poteva fermare subito – e qui chi scrive ricorda come, dopo l’invasione della Crimea del ‘14, la Russia ha potuto tranquillamente organizzare il campionato mondiale di calcio nel ‘18, altro che sanzioni… Ma le guerre tradizionali (almeno dal 1648 in poi) erano di durata limitata (dalla “guerra dei sette anni” alla “guerra dei sei giorni”, tanto per dire); le guerre di oggi invece sembrano eternizzarsi, non avere una fine, continuare per decenni come se fosse normale: Afghanistan, Siria, Sudan, Libia… conflitti dei quali non ricordiamo più la data del loro inizio…

Il card. Zuppi, pur sollecitato da Brambilla a dire qualcosa sella mediazione di cui è stato protagonista, ha ovviamente glissato sull’argomento, preferendo sottolineare, purtroppo pessimisticamente, la mancanza di un vero luogo di mediazione politica e diplomatica, quale avrebbero dovuto essere le Nazioni Unite, e la difficoltà di trovare canali di dialogo. Il dialogo, la pace, si fa con i nemici, ma occorre volontà di dialogo, e non volontà di distruggere l’avversario – idea che porta appunto ad eternizzare le guerre. Ha poi citato (finalmente!) anche la seconda frase dell’art. 11 Cost., che prevede la possibilità di rinunciare a fette di sovranità appunto per favorire la composizione di contrasti e conflitti. Il sovranismo è il contrario di quanto prevede detto art. 11, e la costruzione dell’Unione europea un esempio virtuoso, se è vero come è vero che dal 1945 Francia e Germania, secolari nemici, vivono in pace.

Nel secondo giro di tavolo, sono emerse prospettive diverse fra Quirico e Zuppi proprio circa l’impegno per la pace. Quirico si è chiesto perché non ci sono più cortei pacifisti come venti, cinquanta o sessanta anni fa (contro la guerra in Iraq, contro la guerra in Vietnam, per la vicenda degli euromissili), e ha provocatoriamente detto che il tempo dei cortei forse è finito per sempre, che occorre combattere chi le guerre le vuole, per ragioni di affari, di vendita di armi, di prestigio nazionale. (Anche se, va detto, il commercio delle armi è come la prostituzione: si vende molto perché ci sono compratori). Quirico ha aggiunto di essere stanco di sentire aggiungere degli aggettivi alla parola “pace”: chi vuole la pace, deve volere la pace – ha quasi gridato Quirico; aggiungere degli aggettivi significa porre condizioni, e alla fin fine non volere veramente la pace. Su questo punto Zuppi ha sommessamente dissentito: la pace non è la resa al più forte (non è la “pace dei sepolcri”, avrebbe cantato il Rodrigo del Don Carlo verdiano), la legittima difesa armata rimane legittima, ha aggiunto riferendosi all’Ucraina, ed infine, che la pace si fonda sulla giustizia e sul diritto, pur dovendo realisticamente essere pronti ad accettare compromessi e parziali rinunce. Quanto all’osservazione di Quirico sulla mancanza di grandi manifestazioni per la pace, chi scrive ricorda, per avervi partecipato, l’oceanica marcia contro la seconda guerra in Iraq, svoltasi a Roma nel 2003 (quella guerra fu foriera di una destabilizzazione del Medio Oriente che continua ancora oggi); ma quella, come tante manifestazioni precedenti, contestava la politica aggressiva e “imperialista” degli Stati Uniti. Quando invece il “cattivo di turno” non è l’aquila americana, ma magari un nemico o un avversario geopolitico degli USA, allora i discorsi cambiano. La condanna dell’aggressore viene sì fatta, ma è sempre seguita da un ma… da un però

Così nel ‘14 la Russia ha potuto occupare senza colpo ferire Crimea e Donbass – in fondo, chi conosce esattamente i confini storici di quelle aree? E anche nel febbraio del ’22 non si sono viste piazze piene o sit-in davanti all’ambasciata russa (il povero E, Letta protestò quasi da solo), perché in fondo anche l’Ucraina aveva i suoi torti, anche la NATO si era avvicinata troppo ai confini della Russia… Stesso discorso per la crisi in corso in Medio Oriente: dopo il 7 ottobre, nessuna piazza si è riempita contro Hamas (che ha sbagliato, certo, nei tempi e nei modi, ma in fondo ha pure qualche ragione…), mentre molte di più sono state le proteste contro i bombardamenti israeliani, che certo non possiamo in alcun modo giustificare, ma che di quel massacro sono figli. E proprio all’eterno conflitto fra Israele e mondo arabo-palestinese, sotto traccia nella tavola rotonda, si possono bene applicare le parole di Zuppi circa il fatto che la pace nasce dal dialogo, dal riconoscimento reciproco, dalla ricerca paziente del diritto e della giustizia per tutte le parti in causa, dal preferire la pace pur con qualche perdita ad una guerra infinita di tutti contro tutti. Purtroppo in quell’area del mondo, ed in altre aree dimenticate del mondo, o meglio, come ha detto Quirico, che noi vogliamo dimenticare, siamo di fronte a conflitti tipici di società primitive, in cui ciascuno vuole essere riconosciuto nei propri diritti dall’altro, senza però voler riconoscere i diritti dell’altro, in un conflitto che può aver fine solo con la distruzione o la resa incondizionata dell’altro. E’ la situazione che Hegel descrive all’inizio della sua Fenomenologia dello Spirito, che pensavamo superata dal progresso della civiltà, e che invece è drammaticamente presente ancor oggi in un mondo che – ci ricorda Francesco – sta combattendo la sua terza guerra mondiale “a pezzi”.

In conclusione, riflettendo sul senso della bella serata, va detto che purtroppo non sono state chiarite quali sono concretamente le “armi della pace”, visto che non sembrano realisticamente ascoltati, almeno in questi giorni, gli appelli alla pace, al dialogo, o almeno ad un “cessate il fuoco” che possa accompagnare la costituzione di tavoli di confronto e la possibilità di separare i contendenti, magari con “caschi blu” più efficienti di quelli presenti a suo tempo in Bosnia. Non dare armi all’Ucraina, per esempio, significherebbe consegnare quel popolo alla dominazione straniera; dare armi potrebbe voler dire continuare per anni un tragico conflitto; una “terza via”, le armi della pace, appunto, per ora non si vede, perché se è vero che col nemico si deve trattare, è anche vero che per dialogare e fare la pace occorre essere (almeno) in due. E da parte nostra, di spettatori impotenti di tanti drammi mondiali, forse occorre superare una certa “logica da tifosi” che spesso ci accompagna tutti nel guardare alle tante atrocità. I “nostri”, siano essi gli israeliani o i palestinesi, gli americani o gli anti-occidentali, hanno qualche ragione in più dei “loro”, le ragioni degli uni sono migliori delle ragioni degli altri, o addirittura, ci si compiace per le “vittorie” dei nostri …  Anche nei cortei e nelle parole di pace talvolta si nascondono tifoserie.

 

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