LA SCIENZA AMERICANA NELL’ERA DI TRUMP. UNA CORRISPONDENZA DALLA CALIFORNIA.

di Riccardo Campanini

di Michele Vallisneri –

Agli scienziati non piace mescolare scienza e politica. Non è che manchino di opinioni politiche: per la maggior parte si considerano eredi di una tradizione liberale nata con l’Illuminismo, e sono spinti dalla loro formazione e pratica professionale verso una prospettiva internazionalista e socialmente tollerante. Le ragioni della loro reticenza sono invece varie, ma includono il giudizio che gli esperti tecnici debbano essere in grado di assistere governi di qualsiasi colore, e che i programmi di ricerca debbano continuare a essere sostenuti anche dopo cambiamenti elettorali; a un livello più personale, gli scienziati ritengono che il diritto a esprimere una opinione pubblicamente debba essere basato su competenze specifiche.
Pertanto è stata una sorpresa che tre importanti pubblicazioni scientifiche (Scientific American, New England Journal of Medicine e Nature) abbiano scelto di sostenere ufficialmente il vicepresidente Joe Biden nelle elezioni presidenziali statunitensi. Queste posizioni rappresentano la risposta allarmata  a una minaccia che ora sembra esistenziale. In quattro anni, l’amministrazione di Trump ha intrapreso una vera e propria guerra contro la scienza, a volte in modo inetto, ma alla fine con risultati distruttivi. Il danno è stato particolarmente grave per tre agenzie federali, l’Environmental Protection Agency (EPA), la Food and Drug Administration (FDA) e il Center for Disease Control (CDC), il cui lavoro silenzioso e competente nel corso di decenni ha certamente migliorato e persino salvato tante vite, nonostante alcuni episodi di ingerenza politica. La giornalista del New York Times Jeneen Interlandi ha ragione nel definire le agenzie “un faro per i più alti ideali della società umana: intelligenza, discernimento, e azione morale di fronte a pericoli gravi”.
L’uscita dall’accordo di Parigi sul clima è stata significativa non solo per quanto riguarda gli obiettivi energetici interni agli Stati Uniti, ma anche perché ha ridotto la pressione su tutti gli altri paesi affinché cooperassero come membri di buona volontà della comunità globale. Inoltre, gli incaricati di Trump si sono proposti di smantellare o indebolire gravemente le normative ambientali; in alcuni casi hanno perfino ignorato le obiezioni della stessa industria, segnalando che l’impostazione ideologica sorpassa anche il clientelismo. Cosa ancora più preoccupante, i nuovi leader dell’EPA hanno cercato di sabotare il processo in base al quale le decisioni di sanità pubblica si fondano sulla scienza, impedendo agli scienziati che hanno finanziamenti di ricerca dell’EPA di prestare servizio nei suoi gruppi consultivi; applicando limitazioni speciose alle pubblicazioni che possono essere citate per orientare la politica e ignorando direttamente le prove scientifiche.
La risposta dell’amministrazione alla pandemia del 2020 può essere vista come uno sforzo per controllare il “messaggio” piuttosto che il virus. Al CDC, la cui missione è proprio quella di affrontare questo tipo di minacce, è stato impedito di emettere regole e raccomandazioni comuni, lasciando alle giurisdizioni locali l’onere di prendere decisioni necessariamente impopolari, e spesso incoerenti. Il presidente ha costantemente minimizzato i rischi; in modo esasperante, ha trasformato le mascherine – una raccomandazione ragionevole e molto efficace per la salute pubblica – in una parola d’ordine partigiana, condizionando molti a manifestare la loro fede politica con rischi gratuiti per la propria salute e la salute di quanti li circondano. Dal canto suo, la FDA si è piegata alla volontà della Casa Bianca quando in assenza di prove sicure ha autorizzato trattamenti come l’idrossiclorochina e il plasma convalescente. Questi interventi mettono in dubbio il processo con il quale la FDA approverà i vaccini per il Covid-19, riducendo la fiducia del pubblico, e influenzando la loro eventuale adozione. Nel complesso, sembra probabile che una risposta federale coerente e non politica avrebbe potuto salvare decine di migliaia di vite umane.

Il mondo accademico americano, così come la economia, ha beneficiato a lungo dell’afflusso di studenti di talento e ricercatori affermati da tutto il mondo. Negli ultimi quattro anni, le università hanno sofferto delle politiche di immigrazione dell’amministrazione, che hanno limitato fortemente le visite da alcuni paesi e ridotto i visti per gli immigrati più qualificati. Come minimo, queste mosse rendono gli Stati Uniti meno attraenti per studenti e scienziati stranieri; più in generale, il movimento verso una scienza isolazionista indebolisce l’innovazione e danneggia collaborazioni internazionali cruciali per la ricerca ai più alti livelli.

Molti temono che il i danni alla scienza statunitense diventerebbero  permanenti in una seconda amministrazione Trump. Ma gli effetti negativi   potrebbero  persistere anche se Biden fosse eletto. Servirà revocare normative, rientrare nelle organizzazioni internazionali, ricostruire il morale di agenzie malconce, e reclutare una nuova generazione di scienziati e funzionari per sostituire quanti sono stati allontanati o si sono dimessi per protesta. Sarà ancora più difficile ristabilire in un’ampia parte dell’elettorato l’idea che le azioni di governo possono e devono essere fondate su una valutazione imparziale della verità, e che (come ha scritto una volta Feynman) “la realtà deve avere la precedenza sulle relazioni pubbliche, perché la natura non può essere ingannata”.

 

 

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