Emilia Romagna: tra lealtà, defezione e protesta

di BorgoAdmin

Come contributo alla riflessione sulle elezioni regionali del 23 novembre Sergio Manghi, che ringraziamo per la preziosa collaborazione, ci ha inviato questo articolo, già pubblicato sul blog http://terzo-incluso-parma.blogautore.repubblica.it/ .

Meno del 38%: affluenza al voto ai minimi storici in Emilia Romagna, terra della partecipazione elettorale per antonomasia.

Lo si sentiva nell’aria, del resto. Come si sentiva nell’aria la crescita della nuova Lega “lepenista” e la perdita di smalto del “nuovo” M5S, per così dire, “di lotta e di governo” (esibizione di una doppia impotenza). Il candidato del PD vince ‘in negativo’, per assenza di avversari in grado di coagulare un’alternativa consistente: e se ci fosse il ballottaggio tra i due più votati, l’esito non sarebbe scontato (quanti tornerebbero al voto contro il ‘politico’ di turno?). Probabilmente l’esito sarebbe scontato – continuando l’esperimento mentale – se il secondo arrivato fosse stato del M5S: sconfitta dell”usato sicuro’, come a Parma due anni fa, per la convergenza del grillismo, del centro-destra e in parte della sinistra-sinistra. La ‘sostanza’, chiamiamola così, di quel che è accaduto, stando al trend più generale, è la stessa di questi ultimi anni: l’impegno in politica, ovvero nella cura per la polis, è un genere di ‘volontariato’ in caduta libera. Anche nella sua forma più elementare, che è la protesta organizzata, non estemporanea. E non si tratta di rimpiangere le vecchie ‘ditte’, per citare Bersani. Si tratta di ragionare su una trasformazione profonda della società, di un futuro che è già in atto, radicalmente diverso da quello dell’era delle ‘ditte’.

 

Lealtà, defezione, protesta (Loyalty, exit, voice), s’intitolava un bel libro di Alfred Hirschmann di qualche annetto fa (1970). La proporzione tra questa tre forme della ‘partecipazione’ si va redistribuendo da tempo in favore delle seconde due opzioni, per ora favorendo la seconda, parrebbe. E ‘lasciando governare’, dunque, i partiti, anzi il solo partito sopravvissuto, per ora, alla tenaglia defezione-protesta. In futuro qualcuno cercherà senz’altro di coagulare una protesta organizzata, intorno a una nuova figura carismatica di destra. Ma è una questione ‘sul piatto’ da un bel po’, ormai. Azzardo, provocatoriamente: il futuro sarà la competizione tra due ‘populismi’ (sperabilmente non tre, ma chissà…). E non sto usando la parola ‘populismo’ in senso negativo (né slegato dalla necessità di costruire nuove forme di ‘ditta’): mi riferisco alla competizione tra due modi prevalenti di ‘costituire’ il ‘popolo’ della polis. Che non è – intendo il ‘popolo’ – un’entità data e definita ‘là fuori’, da accontentare con programmi di destra o di sinistra (così ragionavano le ‘ditte’ e ragionano i cattivi ‘populismi’, tipo Lega e M5S, così ragione il liberismo della domanda/offerta trasposto in politica), ma un magma di per sé informe e altamente conflittuale, fino ai limiti dell’homo homini lupus, cui la politica deve saper dare forma.

Non ho tempo per dilungarmi ulteriormente, e mi limito ad aggiungere solo questo: spero – ma temo che così non sarà – che ci verrà risparmiato il luogo comune ‘ha vinto il partito dell’astensione’. Non è un partito, e definirlo così, anche solo metaforicamente (come se le metafore fossero roba leggera: al contrario”!), impedisce di interrogarsi – ma così temo che avverrà – sul significato del dilagare stancamente imitativo della ‘defezione’. Anche la parola ‘vittoria’, per definire l’esito di questo ‘partito’, è di quelle che bendano la vista: sempre chi vince chiude gli occhi, illudendosi di ‘aver avuto ragione’ (autoinganno arcaico, da pensiero magico). Se questo ‘partito’ si fosse presentato alle elezioni – sempre ragionando di fantasia – sarebbe stata prevedibilmente una pletora di ‘proteste’ (nel senso di Hirschmann) l’una contro l’altra ruvidamente armate.

Spero che non si darà la colpa ai partiti della ‘vittoria’ dell’astensione (ma temo che così sarà: la ricerca delle colpe dà più gusto della ricerca delle spiegazioni): chi si è astenuto non è un bambino capriccioso, che decide infantilmente per reazione a quel che fa il papà-politica, andando alla urne se gli piace il regalo del papà e disertandole se il regalo del papà non gli piace. E’ una persona adulta (così come chi ha votato) che ha scelto in base a una propria concezione della politica in generale e dell’efficacia della propria partecipazione politica in questo momento. Una concezione che, avendo modo di far ricerca (aspetto l”atlante’ di Diamanti, su Repubblica…), risulterebbe diversa per molte persone, e non unitaria. Se proprio si dovesse considerare in modo unitario l’esito di queste concezioni diverse verrebbe da dire che è una sconfitta, non una vittoria. Forse che gli astenuti vedono oggi più vicino qualche miglioramento nella cura della polis nella/e direzione/i desiderata/e? Forse che a istituzioni indebolite nel grado di legittimazione dall’elevato astensionismo si può chiedere di avere la forza che ci si aspetta da esse per affrontare i gravissimi problemi del nostro tempo?

Ma d’altra parte, credere che gli esseri umani desiderino davvero, per sé e per gli altri, il ‘meglio’ dichiarato, è uno degli errori più profondi del pensiero politico prevalente. Gli esseri umani, nella grandissima parte dei casi, non sanno affatto quello che desiderano (parafrasi intenzionale dell’evangelico ‘non sanno quello che fanno’), e neppure sanno di non saperlo. E non perché siano idioti, si badi. Non mi si fraintenda. Ma perché la vita è fatta così, per tutti noi. E’ il desiderio, che è fatto così. E’ proprio del desiderio, come sa chi si sia interrogato almeno un poco sulla nozione di inconscio, autoingannarsi. Inseguire desideri altrui imitativamente credendoli davvero propri, e rimanendo facilmente delusi (dando poi la ‘colpa’ di questa delusione a entità esterne). I desideri sono per propria natura alla perenne ricerca di una forma ancora tutta da ‘costruire’, sempre oltre il ‘già costruito’, sempre oltre il rilevabile dai ‘sondaggi’. Ed è qui, nella ‘zona grigia’ di questa indeterminatezza, che la politica interviene (e interviene sempre: il vuoto non è dato, in queste faccende, anche astenersi è ‘politica’): interviene a istituire, nel bene come nel male, il ‘popolo’ della polis… Con un grado di difficoltà in più, rispetto al passato, nel nostro tempo: che è il tempo nel quale le ragioni del desiderio ‘voluttuario’ hanno sopravanzato di gran lunga le ragioni del bisogno primario.

Sergio Manghi

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