Borgo NewsLa Piazza RICORDO DI DON JAMES SCHIANCHI. L’intelligenza e il cuore di un piccolo-grande sacerdote amico di Ennio Mora Riceviamo e pubblichiamo volentieri questo intenso e affettuoso ricordo di don James Schianchi di cui ricorre in questi giorni il primo anniversario della morte di BorgoAdmin 19 Settembre 2024 di BorgoAdmin 19 Settembre 2024 113 In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. (Matteo 11,25) Da alcuni anni don James Schianchi viveva nella parrocchia di Santa Maria del Rosario come coadiutore del parroco (un tempo si diceva cappellano): mi confidò che il vescovo gli aveva chiesto di dedicarsi allo studio e che questo nuovo impegno non era compatibile con la presenza in una parrocchia grande ed impegnativa, ragion per cui si sarebbe trasferito in una piccola parrocchia di montagna. Me lo comunicò con rara calma e con disarmante disponibilità. Lo aiutai, con un altro simpatico amico, a fare il trasloco delle sue cose. Fui colpito dalla “miseria” della sua nuova abitazione al punto che l’altro aiutante, non riuscì ad evitare uno sfogo polemico: Don James reagì con un sorriso e lasciò cadere la questione, che avrebbe potuto innescare discorsi piuttosto imbarazzanti. Lo persi di vista, considerato il gravoso impegno di studi, che lo portarono a ben due lauree(se non erro in materia di morale e di teologia: non ho mai approfondito la cosa), e la distanza territoriale che ci impediva la reciproca frequentazione. Era nata un’amicizia inossidabile: lui giovane sacerdote, io pre-ju dell’azione cattolica. Mi accompagnò con tanta delicatezza lungo i passi della mia adolescenza, ammorbidendo le mie tensioni psicologiche con il suo proverbiale aplomb. Seppe tranquillizzarmi nei momenti più burrascosi, indirizzarmi nel ginepraio morale, rassicurarmi nel percorso di fede. Lo ritrovai plurilaureato, personaggio in cerca di adeguata collocazione clericale ed ecclesiale: un autentico tormentone della sua vita sacerdotale, che non trovò sbocchi confacenti alla sua levatura intellettuale, non certo per colpa sua, ma per la solita burocratica inerzia degli ambienti curiali .Fu infatti un umilissimo (quasi) battitore libero, che seguii a distanza con trepidazione e persino con rabbia nel vederlo sottovalutato e sottoimpiegato. I bene informati davano la colpa al suo sistema nervoso piuttosto portato alla depressione, altri alla sua intemperanza critica (si vociferava ironicamente che persino lo Spirito Santo facesse fatica a cavarsela sotto il giudizio di Don James), altri ancora alla mancanza di dialogo con i vescovi che si sono succeduti dopo monsignor Amilcare Pasini che era stato il suo talent-scout. Fatto sta che da potenziale vescovo e/o cardinale (amavo definirlo il “Ravasi di Parma”) fu retrocesso a “ciàpa-ciàpa”,seppure di gran lusso della diocesi. Dopo diverso tempo arrivò la nomina a vice-prefetto della Chiesa Magistrale della Steccata, che accettò con rassegnata umiltà non senza qualche scaramuccia dialettica(da quanto mi risulta)col vescovo dell’epoca. In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. (Matteo 11,25) Mia sorella aveva un debole per le persone intelligenti. Diceva che, quando una persona è intelligente lo è sempre indipendentemente dal ruolo che è stata chiamata a ricoprire. Riteneva convintamente che quando una persona è intelligente è più che alla metà dell’opera, perché questa sua qualità, cascasse il mondo, non viene mai meno. Don James faceva indubbiamente parte della categoria e in qualsiasi incarico ricoprisse il fatto emergeva prepotentemente. Sprizzava intelligenza e cultura dai pori della pelle, ma non lo faceva pesare, anzi ostentava la sua profonda e verace umiltà impreziosita da una dose di sano scetticismo. Anche l’ironia non gli mancava. Ricordo che i primi tempi della sua presenza in Steccata gli chiesi come si trovasse. Mi rispose con tanta franchezza: «Sono qui a disposizione delle casalinghe e accetto di intromettermi, nel mio ruolo di confessore, tra le l oro borse della spesa». E accettò di mettersi qualche volta anche a mia disposizione come confessore. Lo faceva innanzitutto comunicandomi la sua amicizia e poi elargendomi con discrezione qualche spunto di riflessione a livello biblico, sorvolando sulle mie croniche debolezze che tendeva a normalizzare. Era talmente forte e pregnante la sua conoscenza verso il mio trambusto esistenziale, che una volta si dimenticò di chiedermi di accusare i miei peccati e dovetti insistere per farlo. Lasciava parlare la Parola di Dio e poi mi chiedeva se avevo qualche peccato da dichiarare: quanta sacramentale forza di perdono e di promozione cristiana riusciva ad emanare. Spesso la confessione si concludeva nello scambio di affettuose reciproche espressioni amichevoli del tipo “ti voglio bene”. Mi riempiva il cuore umanamente e cristianamente. Conosceva benissimo le mie intemperanze dottrinali e le mie trasgressioni morali eppure, lui, moralista accademico ,esperto di dottrina, sapeva comprendermi ed accettarmi, così com’ero: una costante dei miei amici sacerdoti, che ho collocato nel mio olimpo e di cui lui è l’ultimo ospite in ordine di tempo. Mi chiedeva con tanta delicatezza della mia vita privata e mi parlava della sua: io avevo perso mia sorella e lui mi riferiva del rapporto con le sue sorelle. A proposito di sorelle non posso dimenticare il garbo e la delicatezza con cui mi seppe rasserenare l’animo quando gli confidai il dramma interiore del dovere ricoverare in casa di riposo mia sorella per l’epilogo di una malattia inguaribile ed ingestibile. Mi parlò della precedente analoga situazione di sua madre e, a distanza di tempo, della situazione di una delle sue sorelle. Era il miglior modo per esprimermi solidarietà e vicinanza. Quando gli donai il libro sulla vita di mio zio sacerdote, mi chiese di fargliene avere alcune copie da distribuire ai giovani seminaristi, che, a suo dire, avevano bisogno di nutrirsi agli insegnamenti emergenti dalla vita sacerdotale di preti del passato, attualissimi nelle loro testimonianze .L’impegno verso i pur pochi giovani in odore di sacerdozio fu molto importante e mi confidò come il vescovo insistesse per mantenergli questo incarico nonostante l’età che stava prepotentemente avanzando. «Ormai sono vecchio, mi disse malinconicamente, faccio parte di una generazione di sacerdoti che stanno giungendo al traguardo…». Lo rassicurai sulla sua lucidità e vivacità di pensiero e di parola, ma non gli potei togliere la soma degli anni. Rimase comunque al suo posto. Quando lo incontravo e scambiavamo poche parole mi confermavo nel mio rimpianto per vederlo incompiuto nel capolavoro sacerdotale che avremmo meritato, lui e tutti i cattolici di Parma. Mi dovevo accontentare, si fa per dire, delle sue amichevoli disponibilità sacramentali, delle sue puntuali e scarne omelie, dei suoi sorrisi contemporanei al mio accesso alla comunione, delle sue parole dolci di cui facevo tesoro. Sì, perché con l’età don James aveva guadagnato in dolcezza. Mi aveva confidato di avere qualche problema di salute, non tale da prefigurare una dipartita così ravvicinata, quasi improvvisa. Se ne è andato in punta di piedi, così come ha vissuto. Dopo la sua morte non mi sento più lo stesso. Mi manca qualcosa. Mi manca l’amicizia di don James anche se sono sicuro che me la saprà manifestare a livello di Comunione dei Santi.) 0 FacebookWhatsappEmail post precedente TESTIMONI DI PACE, VERITA’ E GIUSTIZIA post successivo EDUCAZIONE CIVICA, UN’OCCASIONE DA NON SPRECARE di Silvia Cacciani Dalla stessa sezione IL RAPPORTO DRAGHI: UN ALTRO WHATEVER IT TAKES?... 17 Ottobre 2024 LETTURE IN CIRCOLO. 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