PREMIERATO ALL’ITALIANA di Monica Cocconi

di BorgoAdmin

Non è chiaro cosa farà la premier Meloni il giorno dopo il voto sul referendum costituzionale che, probabilmente, si svolgerà sulla Riforma del Premierato, ovvero l’elezione diretta del cd. Sindaco d’Italia con il conseguente rafforzamento dei poteri del Capo dell’esecutivo nel caso non ottenga i 2/3 dei voti di Camera e Senato della Repubblica. Il premier eletto direttamente dai cittadini avrà un mandato di cinque anni, rinnovabile per una sola volta e, in caso di sfiducia da parte del Parlamento per due volte, ne produrrà lo scioglimento e il ritorno al voto.  Se dapprima, infatti, la Presidente del Consiglio aveva legato le sorti del suo mandato all’esito positivo della Riforma, come a suo tempo aveva fatto Matteo Renzi, più di recente Giorgia Meloni ha segnato un passo indietro. “Il Premierato non è un referendum su di me, se perdo non mi dimetto”. Non vi è dubbio, peraltro, che la vittoria di Fratelli d’Italia alle elezioni europee imprimerà una forte accelerazione ai tempi della Riforma che vuol essere, anzitutto, una risposta all’esigenza di restituire ai cittadini un potere di scelta effettivo sulla designazione del Capo dell’Esecutivo. La prima finalità sarà quella – ha proclamato la leader di Fratelli d’Italia – di far scegliere agli elettori: “da chi farsi governare, e mettere fine alla stagione dei governi tecnici, dei ribaltoni, delle maggioranze arcobaleno”. La seconda è che chi sarà chiamato a governare “possa farlo con un orizzonte di legislatura” – ha asserito sempre la premier, in modo da “avere il tempo per portare avanti il programma con cui si è presentato ai cittadini”. La leader dell’opposizione, Elly Schlein, intravede viceversa nell’accelerazione impressa alla Riforma un rischio grave di manomissione della Costituzione da parte della maggioranza di governo tanto da invocare una resistenza anche fisica al suo procedere: “Vi chiedo di usare i vostri corpi e le vostre voci per fare muro rispetto a questo tentativo”.

Si tratta di una Riforma che, in realtà, non ha eguali fuori dai nostri confini.  Vi sono infatti Repubbliche monarchiche parlamentari, come nel Regno Unito, con un premier solido grazie ad una legge elettorale che si fonda sul maggioritario. Il primo ministro britannico, come il cancelliere tedesco, hanno inoltre la facoltà di nominare e revocare i ministri, competenza che invece non avrebbe il premier eletto direttamente nel nostro Paese. Inoltre in Germania e Spagna esiste la sfiducia costruttiva ossia l’impossibilità, da parte del Parlamento, di votare la sfiducia al Governo se, contestualmente, non concede la fiducia ad un nuovo esecutivo. Tale istituto, viceversa, non è contemplato dal Premierato cd. all’italiana che in tal modo non soddisfa compiutamente quell’esigenza forte di stabilità dell’esecutivo a cui diceva di voler corrispondere.   La coerenza della Riforma del Premierato con gli obiettivi affidatigli da Giorgia Meloni, infine, potrà esserci se la sua introduzione sarà saldata con la riforma della legge elettorale. Se infatti non si inciderà sulla formazione delle maggioranze attraverso la riforma della legge elettorale il Premierato resterà monco e non potrà offrire ai cittadini i frutti ufficialmente promessi. L’impressione, tuttavia, è che nessuna delle forze politiche presenti in campo voglia davvero mutare la legge elettorale che garantisce ai capi partito il controllo su chi davvero entrerà in Parlamento.     Una volta ottenuta la maggioranza assoluta delle Camere, inoltre, la riforma dovrebbe passare attraverso le forche caudine del referendum costituzionale in cui l’orientamento dei cittadini non sarà probabilmente polarizzato fra destra e sinistra ma, più facilmente, sarà trasversale fra chi riconosce o meno la capacità della Riforma costituzionale di conseguire gli obiettivi che si propone.

Il mosaico della Riforma non è ancora del tutto compiuto; dopo la sua definizione si saprà se si tratta di un diversivo pasticciato per distogliere gli elettori dall’incapacità della maggioranza di affrontare i veri gravi problemi del Paesi (la crisi della sanità pubblica, la perdita del potere d’acquisto dei salari, le politiche dell’accoglienza) oppure sarà davvero una risposta adeguata all’esigenza di stabilità e di orizzonte lungo di cui potrà contare in futuro l’azione dell’esecutivo.

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