FINESTRA SULL’EUROPA: INTERVISTA A GIANLUCA LOTTICI

di Riccardo Campanini

a cura di Riccardo Campanini

 

Intanto una breve presentazione in chiave “europea”: la tua attività, i tuoi interessi …

Domanda semplice ma risposta difficile, perché non vorrei correre il rischio di dover dilungarmi nell’esposizione del mio curriculum vitae, oppure in frasi fatte di luoghi comuni o retorici. Provo comunque a  risponderti. La mia attività di Responsabile commerciale di diverse aziende nel settore dell’impiantistica delle linee di confezionamento alimentare (quindi un settore chiave dell’economia del nostro territorio) mi ha “portato” per lungo tempo in viaggio per il mondo. Una parte considerevole della mia attività si è svolta in Germania, al centro dell’Europa, e nell’area mediterranea, in particolare nei Balcani e in Grecia (paese quest’ultimo al quale sono particolarmente legato e che visito ancora oggi con una certa regolarità). E ho frequentato molto anche la   Turchia, soprattutto Istanbul, città straordinaria e molto legata alla storia europea, un vero e proprio crogiuolo d’identità e culture. Ecco, proprio da qui, dalla consapevolezza dell’unione fra le differenti culture del Mediterraneo e dell’Europa del nord (i normanni, ad esempio come la storia ci insegna, erano di casa nel Mediterraneo; i Celti erano ben presenti in Turchia ed in Spagna), è nato il mio interesse per una certa idea di Europa, e per capire come possano convivere tutte queste differenti culture che comunque parlano di sé in una prospettiva comunque legata a un ‘idea d’Europa.

Proprio riferendomi alla mia attività lavorativa, la prima cosa che, evidentemente, salta agli occhi è che possiamo andare in auto, o in treno, da Ragusa a Copenaghen (2876 km) o con qualsiasi altro mezzo sulla terra ferma, e l’unico rischio vero che corriamo è una multa per eccesso di velocità. In quale altra parte del mondo esiste questa condizione? Questo tanto per dare un’idea spicciola del concetto di unità europea. Ma tu mi chiedi dei miei interessi  che  non possono che esser rivolti alla storia economica, politica e sociale che si è sviluppata lungo questi chilometri, una storia fatta di scienza, di lettere, di filosofia, come anche di guerre e conflitti terribili, di emigrazioni e  immigrazioni, ovvero di popoli in movimento.

 

Viaggiando di frequente in diversi paesi dell’UE, che idea ti sei fatto del processo d’integrazione? È solo o prevalentemente economica o c’è qualcosa di più?

Purtroppo mi sono fatto una idea piuttosto negativa. Nell’attuale condizione, anzi, vedo un peggioramento, dovuto, appunto, alla ricerca di un’integrazione essenzialmente economica d’interesse. Non ha senso dire: ce lo chiede l’Europa, oppure, come facciamo a competere economicamente con Paesi più grandi di noi?

Fondamentalmente dovrebbe esserci qualcosa di più, che magari prima in altri momenti c’è stato, e cioè il senso d’appartenenza ad un’area  che faceva delle sue differenze e della sua storia un punto di forza per trovare un senso comune, un proprio DNA, per una convivenza civile e rispettosa. Dovremmo dotarci di una Costituzione ( e ti confermo che, a mio avviso, quella italiana è fra le migliori) che al di sopra di ogni qualsiasi governo di qualsiasi nazione, possa essere in grado di offrire un rispettoso riconoscimento alle religioni all’interno di uno stato laico dotato di regole condivise e di suddivisioni di potere. Questa è (e non me la sento di scrivere “era” perché sono inguaribilmente fiducioso) la base per creare un nuovo stato federale e finalmente un Europa unita. A parer mio chi è un europeista convinto dovrebbe  trasmettere questo messaggio. Una presa di posizione chiara nei confronti tutto questo ancora non c’è, ma non credo la si possa trovare nella competizione di tipo sovranista e nella chiusura sconsiderata delle frontiere.

Come osservatore attento e impegnato dei fenomeni sociali e politici, come valuti la crisi di fiducia che ha colpito le istituzioni europee e la stessa idea d’Europa unita? È un male passeggero o un morbo cronico destinato a produrre danni irreversibili?

Cerchiamo e sforziamoci di non farlo diventare un morbo cronico anche se ci sono già dei segnali in questo senso. La crisi di fiducia è data dall’aumento della povertà, dalla distanza fra il potere (economico e politico) e le persone, dalle diseguaglianze. Credo sia opportuno analizzare le cause e poi provare a porvi rimedio. A mio avviso la classe politica attualmente presente nel  Parlamento Europeo ha fallito miseramente il proprio compito. Anche l’ultima uscita del Presidente Juncker (ci siamo comportati male con la Grecia)  si commenta da sola per la sua assurdità. Ancora una volta, si è dato solo risalto all’economia. Proprio come operatore economico e nel settore manifatturiero (e vorrei segnalare che in questo senso l’Italia è la seconda  potenza europea) , non posso non considerare che la Germania è il nostro principale concorrente, ma, al tempo stesso, anche il nostro principale partner economico. Solo alcuni dati: sono ben 140 le aziende a capitale tedesco nella sola Emilia Romagna; l’interscambio fra la Germania ed il Veneto è simile a quello fra la Germania e il Canada, oppure quello esistente fra la Lombardia e la Germania è simile a quello fra quest’ultima ed il Giappone. Allora: può bastare il considerare l’esistenza di una moneta unica? Oppure pensare che basta affermare che siamo parte di una stessa famiglia (?) per confermare un percorso d’unione fra Stati?

In vista dell’elezioni europee di maggio cosa dovrebbero fare le forze politiche europeiste per battere la propaganda euroscettica e sovranista?

Credo che, in ogni caso, si debba ripartire dalle persone. La parte economica è fondamentale, ma in un’ottica di benessere raggiunto o da raggiungere, non di spregiudicatezza economica e quindi di ricerca del posto dove la mano d’opera costa meno. Non ci si deve basare sullo sfruttamento delle risorse, ma, al contrario, operare un’attenta redistribuzione delle risorse e della ricchezza. Perché la prima cosa a cui si pensa è un esercito comune e non si propone mai, ad esempio, un ministero dell’ambiente comune?  Perché non è ancora stata creata un’agenzia di rating europea? Non solo: gli addetti ai lavori conoscono la regola detta “Target 2”, ma sappiamo bene che questa regola tutela soltanto i paesi più ricchi dai rischi dovuti ad un’eventuale uscita dall’euro. I bilanci (ed i famosi sforamenti) vengono correttamente verificati dalla Commissione Europea che, in molti casi, con atteggiamento truce trae in merito le debite conseguenze. Clausole di salvaguardia, bilanci, aumenti IVA, prestiti, interessi, vessazioni, controlli, etc. Come si può creare, partendo da tutto ciò, un’idea (o potremmo anche dire un ideale) comune? Tu mi chiedi cosa possono fare le forze europeiste? A questo proposito io non ho una ricetta pronta da offrire, ma credo, ancora una volta, che ci si debba sforzare di trovare un insieme di norme in grado di stabilire un livello più alto concretizzato in diritti e doveri condivisi, di vera unione d’intenti, di aiuto verso coloro che ne hanno bisogno, di ricerca di un’idea comune laica nella quale le diverse culture e religioni abbiano un loro spazio ma dove, in ultima istanza, è comunque  la legge che prevale. Mi si dirà: ma questa è una proposta idealista. Certo, è vero, ma un‘Europa unita non nasce proprio da un’ideale?

E infine, quali riforme dovrebbero avviare le nuove Istituzioni europee uscite dal voto di maggio (Parlamento e commissione) per riguadagnare la fiducia di tanti cittadini disillusi e scontenti?

Promuovere l’idea(le) di un‘Europa comune parte da un afflato comune e non (come fin dagli inizi di questa avventura europea abbiamo potuto constatare) da una piattaforma di mera contabilità. È vero che ci sono delle regole e dei doveri da rispettare anche sul piano economico, ma: perché non si fa un’agenzia di rating europea? Dove il fattore economico (senza dubbio importante se ben impostato) serva a meglio regolamentare i flussi interni e migratori (ad esempio modificando l’accordo di Dublino), eliminando le differenze salariali e normative all’interno dei singoli paesi, migliorando la sicurezza (con una particolare attenzione alla struttura e al ruolo delle forze di polizia), andando verso una maggior integrazione fra le diverse strutture degli apparati dello Stato, perseguendo un’efficace lotta alle mafie, una diminuzione dei costi burocratici,  un aiuto ai paesi in difficoltà, per approdare, finalmente, ad una ristrutturazione del debito pubblico. Dobbiamo poi porre particolare attenzione alle questioni dell’ambiente e della  lotta alla povertà, tutte cose che si possono realizzare anche eliminando, tanto per fare un esempio, le differenze di reddito. E mi viene da aggiungere il fatto di impegnarsi anche a dare un nuovo impulso alla sanità pubblica.

In conclusione, credo che sia difficile dare una risposta a questa tua ultima domanda.  Tuttavia, ritengo che solamente dimostrando con i fatti l’impegno alla crescita di un benessere comune si possa ritrovare la fiducia nei confronti di progetti come quello di un’Europa unita. Purtroppo, al di là di alcuni proclami, spesso stereotipati e retorici, non mi pare si vada in questa direzione.

 

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