LA COP-29 IN AZERBAJIAN: NEGOZIATI LENTI E L’INTERCONNESSIONE DELLE POLITICHE CLIMATICHE di Nicola Granato

di BorgoAdmin

L’11 novembre è iniziata la ventinovesima Conferenza delle Parti (COP-29) della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico (UNFCCC), ospitata a Baku, in Azerbaijan. La COP di quest’anno comprende anche la diciannovesima sessione del Protocollo di Kyoto (CMP-19) e la sesta del Consiglio dell’Accordo di Parigi (CMA-6). Il 2024 è destinato a essere l’anno più caldo mai registrato, dopo una lunga serie di temperature globali eccezionalmente elevate. Il rapporto dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale (OMM) ha lanciato un’ennesima allerta rossa sul rapido cambiamento climatico, alimentato dai continui aumenti dei gas serra nell’atmosfera. Con il periodo 2015-2024 che si prevede sarà il più caldo della storia, la temperatura media globale per il gennaio-settembre 2024 è già di 1,54°C sopra i livelli preindustriali. Nel suo discorso di apertura, Mukhtar Babayev, presidente della COP-29, ha avvertito: “Siamo sulla strada della rovina. E questi non sono problemi futuri. Il cambiamento climatico è già qui.” Ha sottolineato che questo è il momento decisivo per l’Accordo di Parigi del 2015.

Ma dove eravamo rimasti?

La COP-29 si apre guardando ai progressi della precedente COP-28 di Dubai. Pochi mesi fa, infatti, è stato avviato il processo di transizione dalle fonti fossili, con un forte impegno verso l’energia rinnovabile e l’efficienza energetica. L’Accordo di Dubai ha fissato l’obiettivo di triplicare la capacità di energie rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030. La finanza climatica continua a essere centrale. Quest’anno, i negoziatori delle 198 nazioni coinvolte dovranno definire un nuovo obiettivo ambientale ed economica: il NCQG (New Collective Quantified Goal). Si intende superare i 100 miliardi di dollari annuali fissati alla COP16 di Copenaghen nel 2009, per il periodo 2010-2025. Tuttavia, diversi analisti hanno sottolineato che la COP-29, pur essendo importante, potrebbe rappresentare solo una fase intermedia verso la COP-30 che si terrà in Brasile nel 2025. Il NCQG rimane al centro dei negoziati, con i Paesi in via di sviluppo, rappresentati dal G77+China, che chiedono un impegno finanziario ben più consistente, in linea con le loro necessità. D’altro canto, l’Unione Europea e i Paesi sviluppati sono chiamati a garantire una solida cooperazione per raggiungere compromessi. Entro febbraio 2025, tutti i Paesi membri della Convenzione dovranno presentare i loro piani nazionali di riduzione delle emissioni aggiornati per il periodo 2035-2040 (NDCs). Questi piani sono uno degli elementi chiave dell’Accordo di Parigi, che impone responsabilità nazionali in base alle capacità di ciascun Paese. Se non si raggiungono sufficienti impegni finanziari, il rischio è che gli NDCs non siano abbastanza ambiziosi da limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5°C.  Sul fronte finanziario, dieci banche multilaterali di sviluppo hanno annunciato che mobiliteranno fino a 120 miliardi di dollari all’anno per i Paesi a basso e medio reddito entro il 2030, di cui 42 miliardi per l’adattamento ai cambiamenti climatici. Tuttavia, secondo un’analisi dell’OCSE, l’obiettivo dei 100 miliardi di dollari annuali fissato alla COP16 non è stato raggiunto negli anni 2020 e 2021.

Nonostante queste promesse, i negoziati sull’NCQG procedono a rilento. Il Fondo per l’adattamento non ha ancora raggiunto il suo obiettivo di 300 milioni di dollari, e solo pochi Paesi (come Spagna, Svezia, Islanda e Belgio) hanno recentemente contribuito con nuove promesse finanziarie, per un totale di 38,1 milioni di dollari. La Germania si prepara a fare il proprio annuncio la prossima settimana, mentre l’Italia potrebbe giocare un ruolo chiave nel sollecitare ulteriori sforzi da parte dei Paesi G7. Il gruppo dei Paesi in via di sviluppo (G77), che include oltre 77 Paesi, ha proposto che l’obiettivo finanziario globale dovrebbe arrivare a 1,3 trilioni di dollari all’anno. Le negoziazioni sono ancora in fase di definizione e richiedono una forte leadership per raggiungere compromessi efficaci. Interessante osservare da vicino gli interventi dei principali leader presenti. Il vicepremier cinese Ding Xuexiang ha sottolineato che la Cina ha già mobilitato 24,5 miliardi di dollari dal 2016 per sostenere la transizione dei Paesi in via di sviluppo, un segnale forte del suo impegno per la finanza climatica. Questo approccio evidenzia la volontà della Cina di assumersi responsabilità simili a quelle dei Paesi sviluppati, portando il contributo cinese a un livello che può competere con quello delle principali economie mondiali. Inoltre, il Regno Unito ha incluso nel suo NDC l’obiettivo di ridurre le emissioni del 81% entro il 2035, un passo significativo che si allinea con la strategia europea di decarbonizzazione.  Un passo sicuramente importante che si riflette altresì sulla strategia europea in tema di decarbonizzazione; il taglio proposto dalla Commissione europea del 90% delle emissioni al 2040, ora, non sembra più fantascienza. Altri Paesi, come la Turchia, la Mauritania e il Kirghizistan, hanno chiesto impegni economici maggiori per far fronte alla crisi climatica. I Paesi meno sviluppati, come Guinea-Bissau e Libia, hanno richiesto che i finanziamenti siano equi e accessibili, mentre la Repubblica Democratica del Congo e le Isole Marshall hanno chiesto che questi fondi coprano anche l’adattamento e i danni, non solo la mitigazione. Le Isole Marshall hanno inoltre ribadito che i finanziamenti per il clima non devono essere prestiti a tassi di mercato e non devono finanziare i combustibili fossili.

In conclusione, su questa COP si può riflettere la centralità degli impegni finanziari per affrontare la questione climatica a livello globale. Tuttavia, dalle posizioni ai fatti, con misure, piani, fondi per l’adattamento, il passaggio non è immediato, come hanno dimostrato i primi giorni di negoziati e come, purtroppo, ci insegnano le precedenti COP. L’osservazione chiaramente è sospesa alla conclusione della Conferenza delle Parti, in particolare sui risultati dei negoziati e quindi sul Fondo per l’adattamento e sul NCQG.   Questa COP poteva essere l’occasione per bilanciare le tensioni e le crisi che caratterizzano la nostra epoca, da quella climatica, a quella economica, per non dimenticare, quella imprescindibile: la tutela dei diritti umani. In vista di questa conferenza, il governo azero ha lanciato l’iniziativa Peace and Climate, che sottolinea il legame sempre più forte tra clima, pace e sicurezza.

Dunque, se i risultati sono ancora da attendere, come anche le previsioni, questa COP ci consegnato un pilastro ormai ineludibile: il clima sta assumendo un ruolo sempre più centrale nelle strategie politiche internazionali, specialmente in connessione con le politiche di sicurezza e difesa.

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