QUI CI VUOLE UN NUOVO CONCILIO.  PERCHÉ LA CHIESA NON PUÒ RIMANDARE IL CAMBIAMENTO Intervista a Franco Ferrari, autore del libro “Francesco, il papa della riforma”, a cura di Giuseppe Bizzi

di Riccardo Campanini

Più volte papa Francesco ha sottolineato che non siamo semplicemente in un’epoca di cambiamento, ma dentro un vero e proprio cambiamento d’epoca. Un pontificato che pensa e agisce con questa consapevolezza diventa dunque un interessantissimo oggetto di continua analisi, perché in tante parole e gesti c’è la preparazione di qualcosa di profondamente nuovo. Il libro “Francesco, il papa della riforma” (edizioni Paoline) del parmigiano Franco Ferrari offre una preziosa mappa per orientarsi nei primi sette anni di pontificato. L’autore coniuga un’ottica unitaria di lettura – il tema della riforma – con un racconto molto documentato e piacevolmente scorrevole, che rivela la penna del giornalista (Ferrari è caporedattore della rivista saveriana Missione Oggi). Un libro scritto “con precisione e partecipazione”, come sottolinea il vaticanista Marco Politi nell’introduzione. E con la passione ecclesiale che, insieme a quella educativa come insegnante elementare e direttore didattico, ha caratterizzato la sua vita.

Partiamo dal titolo. Perché hai scelto la “riforma” come categoria con cui raccontare i primi sette anni del pontificato di Francesco? Nell’immaginario “riforma” richiama immediatamente l’ambito politico o la riforma luterana: c’è qualche connessione?

Ho giocato sulla polisemia di questa parola. Ogni titolo deve un po’ intrigare. Ecco allora nascere l’interrogativo a che riforma ci si riferisce; in modo malizioso c’è la volontà di richiamare la Riforma protestante visto che tra i critici del Concilio c’è chi dice che ha avviato una protestantizzazione della Chiesa Ma questa la definirei una furbizia commerciale.Il motivo vero è che io credo, e spero si possa cogliere dalla lettura del libro, che Francesco stia attuando una vera riforma nelle strutture, nella pastorale e negli stili di vita e di testimonianza della Chiesa cattolica.

Si coglie sicuramente: ciascun capitolo approfondisce un aspetto di questa riforma, con titoli spesso accattivanti come quello del libro. Ma ogni leva del cambiamento ha bisogno di un punto di appoggio: quale ti sembra l’intuizione fondamentale di Francesco che motiva le novità avviate dal suo pontificato?

La leva è il ritorno al Vangelo, anzi alla “gioia del Vangelo” come titola il documento programmatico del pontificato. Bergoglio ha un ordine di priorità, come ha indicato nell’intervista a “La Civiltà Cattolica”: “Le riforme organizzative e strutturali sono secondarie, cioè vengono dopo. La prima riforma deve essere quella dell’atteggiamento”. La leva dunque è la conversione perché ogni riforma per essere efficace, dice ancora Francesco, si attua «con uomini “rinnovati” e non semplicemente con “nuovi” uomini».

In effetti nel corso del libro mostri come questo ordine di priorità si traduca nelle specifiche riforme, ad esempio nell’interessante capitolo sulla curia romana. Tuttavia non ti sembra che la necessità del ritorno al Vangelo sia costitutiva sempre della Chiesa? Oppure credi che Francesco abbia rilevato dei pericolosi e persistenti allontanamenti e in quali ambiti?

Certo, tutta la storia della Chiesa è percorsa dall’anelito della fedeltà al Vangelo. Nel tempo ne sono stati testimoni Francesco d’Assisi come Charles de Foucauld, Teresa di Calcutta e molti altri, senza dimenticare i movimenti ereticali medioevali. La Chiesa è composta di peccatori per questo è la “semper reformanda” dei Padri conciliari e ancor prima di Lutero. Francesco sale al soglio pontificio in un momento in cui la Chiesa è attraversata da grandi scandali sia di ordine morale del basso e alto clero (pedofilia, violenza sulle suore) sia di ordine economico-finanziario.  Si tratta di problemi che si sono addensati in un lungo un periodo di tempo e che sono esplosi durante il pontificato di Benedetto XVI. È a questa situazione che il papa sta ora ponendo rimedio, avendo anche ricevuto un preciso input, se non un mandato dai cardinali durante le riunioni pre-conclave. Ma molti se ne sono dimenticati.

Il libro comincia proprio con il racconto della rinuncia di Benedetto XVI e l’analisi di un passaggio fondamentale che ha portato all’elezione di Bergoglio e al mandato di riforma che il conclave implicitamente gli ha assegnato. Perché dunque “l’amnesia” di cui parli rispetto a questo mandato? Le componenti della Chiesa che in questi anni hanno mostrato freddezza quando non ostilità verso Francesco avevano in mente una riforma differente? O le parole e le azioni del papa hanno toccato questioni profondissime nella Chiesa mai adeguatamente esplicitate e dibattute dopo il Concilio?

“Riforma”, “cambiamento” erano state le parole chiave che avevano preceduto il Conclave; probabilmente, ciò che motivava a gran voce queste richieste si riferiva ad un obiettivo più ristretto: mettere ordine in una Curia screditata da diversi scandali e negli organismi economico-finanziari.  Certamente, Francesco ha dato a quelle parole un senso al quale forse diversi dei suoi elettori non pensavano ed ha avviato una riforma che tocca la conversione spirituale, l’aggiornamento della pastorale e le strutture. Attraverso lo strumento del sinodo ha portato tutti ad interrogarsi sulla famiglia, sui giovani e su evangelizzazione e inculturazione in Amazonia. Tutti temi nodali che, affidati ad un dibattito sinodale non controllato dalla Curia, si è scoperto essere divisivi.

Nel capitolo “La piramide rovesciata” analizzi in profondità la scelta di Francesco sulla sinodalità come stile e motore del rinnovamento nella Chiesa. Un tema che torna spesso nel libro fino al “sogno” espresso nel paragrafo finale: un nuovo concilio universale dei vescovi. Perché ritieni che possa essere lo strumento all’altezza delle questioni che la contemporaneità pone alla Chiesa? Non rischia di archiviare un Concilio Vaticano II non ancora pienamente attuato?

L’esperienza dei quattro sinodi credo abbia messo in evidenza la via stretta del rinnovamento pastorale. La pastorale chiama in causa inevitabilmente il rapporto con dottrina e Tradizione. Ne è un esempio l’Amoris laetitia con i dubbi dei quattro cardinali. Le molte questioni che abbiamo di fronte (figura e ruolo del presbitero, diaconato femminile, il linguaggio con il quale si trasmettono i concetti fondamentali del credere: trinità, risurrezione, …), credo possano essere sciolte solo da un’autorità magisteriale più elevata rispetto al sinodo e questa non può che essere il concilio ecumenico. Credo poi che i concili non vadano visti in successione, attuato uno se ne fa un altro, ma in parallelo. Il Vaticano II ha aspetti realizzati (l’abbandono del latino in liturgia), altri in faticosa attuazione (il coinvolgimento dei laici), altri ancora ormai datati e bisognosi di nuovi approfondimenti (ecumenismo, dialogo interreligioso).

A proposito del coinvolgimento dei laici: tu sei presidente dei Viandanti, un’associazione che mette in rete realtà laicali di base impegnate nel rinnovamento della Chiesa in più parti d’Italia. Che contributo pensi possano dare i laici alla riforma di Francesco? E in che modo la tua esperienza nei Viandanti ha contribuito alla stesura del libro?

Per essere concreti dobbiamo tenere presente che i laici non hanno grandi strumenti di partecipazione in quanto i vari consigli (pastorale, affari economici) sono poco più che decorativi non avendo alcuna reale possibilità di incidere sulla vita di una Chiesa. Possono però dare un grande contributo al dibattito sui temi e sulle questioni della riforma fino a toccare le grandi questioni legate alla reinterpretazione della Tradizione in relazione al cambio d’epoca che stiamo vivendo. Viandanti vuol dare il proprio piccolo contributo mettendo in Rete una realtà di gruppi laicali pulviscolare e minoritaria, svolgendo un’azione che potremmo definire di coscientizzazione. Per dare un aiuto a Francesco, come a tutti i papi, noi laici dobbiamo imparare a preoccuparci della vita di tutta la Chiesa. Tutte le questioni che si tende a definire “specialistiche” (unità della Chiesa, liturgia, riforma del papato, …) riguardano in primis anche noi che siamo popolo di Dio. È da questa periferia e con questo spirito che ho guardato e letto i sette anni di pontificato di Bergoglio di cui parla il libro.

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