IL VALORE DELLA DIVERSITA’

di Riccardo Campanini

 

IL VALORE DELLA DIVERSITA’

Intervista ad Annalisa Gabbi, Presidente Fa. Ce. (Famiglie Cerebrolesi)  onlus Parma

(a cura di Gianluca Lottici)

 Annalisa ci spiazza quando dichiara che la diversità è parte d’ognuno di noi anzi è essa stessa la forza   di ogni individuo. Un’ affermazione che nasce da un vissuto diretto  e che cercheremo di approfondire in questa intervista.

Quando hai iniziato a conoscere la disabilità?

Il primo contatto con la disabilità è un ricordo che mi porta alle scuole differenziali. Un cammino che nasce dalla storia di una società che negli anni ’60 (in quegli anni frequentavo le scuole primarie, elementari) ancora utilizzava lo strumento delle “differenziali” per divedere giovanissimi studenti normali da categorie di bambini-allievi con problemi di condotta o disagio sociale o familiare.Fino alla fine degli anni ’60 la logica prevalente rimase quella della separazione, in cui l’allievo disabile veniva percepito come un malato da affidare ad un maestro-medico e come potenziale elemento di disturbo.Noi “studenti comuni” eravamo a conoscenza che nell’edificio scolastico vi erano classi per bambini diversi da noi, ma non abbiamo mai conosciuto chi le frequentasse, come se per tutti dovesse essere un segreto o qualcosa da nascondere. Alla fine degli anni ’70, grazie ad una nuova e più ampia visione dell’individuo e ad una revisione dei percorsi scolastici previsti per l’inserimento degli studenti con disabilità, ebbi l’opportunità di avere quali compagni di classe diversi ragazzi provenienti da un ben noto Istituto riabilitativo di Parma. Avvicinarmi materialmente ad ogni singola storia, mi dava l’opportunità di apprezzare l’unicità e la ricchezza di ognuno di quei ragazzi, ma anche di comprendere le loro fatiche e solitudini, la lontananza dalla famiglia e dai luoghi a loro cari. Certo, non pensavo che quegli anni sarebbero stati il percorso preparatorio alla nascita di mia figlia.

Quando nel 1988 nacque mia figlia, pre-termine con esiti di paresi della corteccia cerebrale da asfissia intra-partum, dovetti ricomporre la mia vita e quella della mia famiglia. Ogni spazio prese un valore diverso e ci vollero diversi anni per metabolizzare una nuova dimensione di esistenza.Ancora oggi è per me una mission, quella di portare le persone ad avvicinarsi alla Diversità per lasciarsi contagiare da ciò che gli occhi molte volte non vedono, laddove le competenze e le risorse di ogni individuo spesso sono celate dietro un volto non allineato nell’assetto, un corpo paralizzato, una sindrome che definisce e anticipa ciò sei, una voce che risuona distorta. Ma soprattutto desidero contrastare chi ancora oggi con l’suo del termine handicappato risolve brevemente l’argomento. Impariamo che è la Società, siamo tutti noi quindi, che creiamo l’handicap: lo svantaggio che si deve superare a causa di un marciapiede impegnato da biciclette, inutili barriere architettoniche. Ma anche barriere culturali: stalli riservati occupati abusivamente dai ”disabili per un attimo!” o peggio, quegli sguardi che ricevi quando cammini tra la gente e vieni guardato perché sei diverso.

Per chi vale?  Per tutti i tipi di disabilità? Oppure c’è una disabilità più disabilita delle altre?

E’ come la bellezza: non esiste un bello più bello ma un complesso di situazioni ed alchimie che ti portano a vedere in un’altra persona la bellezza indipendentemente dall’aspetto esteriore. Per i disabili il concetto è ancora più forte poiché non li riconosciamo uguali a noi: oppure non li vogliamo riconoscer come individui uguali a noi. Certo ci sono patologie che a causa della gravità generano situazioni di isolamento, anche di difficoltà di mobilità ma la disabilità va vissuta in forma trasversale, diversa ma che porta ognuno a vivere la propria e questo concetto sembra più essere legato a chi ci guarda.Solo quando gli occhi di chi guarda avranno il coraggio di specchiarsi in chi ha di fronte e di mettersi in ascolto, realizzando che la disabilità è comunque vita, scuola, lavoro, tempo libero, amicizia, ma anche sofferenza, solitudine e talvolta dipendenza e mancanza di libertà, ecco solo dopo aver messo da parte le proprie paure, potranno essere in grado di vedere l’Essere Umano.

Molto spesso ci consideriamo madri e padri di figli speciali ma ci chiediamo come scardinare questo fenomeno culturale che attesta la persona disabile diversa, paradossalmente persona non utile alla collettività in generale (? Ecco perché è fondamentale far incontrare le persone, solo così potremo eliminare quella linea che attesta la disabilità solo come inabilità e non come risorsa per sviluppare una nuova società più attenta e disponibile. Questo seme deve germogliare prima di tutto tra di noi famigliari: sapersi mettere in gioco e condividere ciò che i nostri figli, fratelli e sorelle ci hanno insegnato: che, prima di tutto, sono persone.

Dall'ultimo numero di BorgoNews