IL DIFFICILE SINODO ITALIANO  di Franco Ferrari

di Redazione Borgo News

Il sasso nello stagno l’aveva gettato nel febbraio del 2019 un articolo di p. Spadaro, direttore de “La Civiltà Cattolica”, intitolato “I cristiani che fanno l’Italia”. L’articolo, dedicato all’impegno sociale dei cattolici, ruotava attorno al discorso del papa a Firenze (V Convegno ecclesiale nazionale – 2015) e al tema della sinodalità per concludere con la domanda: “Che dunque stia maturando il tempo per un sinodo della Chiesa italiana?”.

 Il forte invito del Vescovo di Roma

Il sasso aveva increspato leggermente le acque e nell’immediato ci furono alcuni interventi (una rassegna di quel primo dibattito si può trovare qui), ma poi la superficie, come si dice, era tornata una tavola. Ora papa Francesco il 30 gennaio, al termine del suo discorso ai partecipanti all’incontro per i 60 anni dell’Ufficio catechistico nazionale della CEI, ha indicato in modo diretto alla Chiesa italiana l’esigenza di avviare un percorso sinodale.

“Dopo cinque anni, – ha detto il papa – la Chiesa italiana deve tornare al Convengo di Firenze, e deve incominciare un processo di Sinodo nazionale, comunità per comunità, diocesi per diocesi: anche questo processo sarà una catechesi. Nel Convegno di Firenze c’è proprio l’intuizione della strada da fare in questo Sinodo. Adesso, riprenderlo: è il momento. E incominciare a camminare”.

Del convegno di Firenze, conclusosi senza un documento finale (ci sono le sintesi dei lavori sui 5 ambiti: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare) si può dire che si siano perse le tracce rapidamente. Ciò che continua a fare notizia è il discorso di papa Francesco. Molta enfasi è stata posta su questo testo, ma Firenze possiamo dire che sta al culmine, perché viene dopo tre discorsi (23.5.2013, 19.5.2014, 18.5.2015), che papa Francesco, ha tenuto ai vescovi italiani in occasione di altrettante Assemblee generali della CEI. Tante sfumature di una precisa “catechesi” ai Pastori della sua Chiesa.

“Cosa ci sta chiedendo il papa?” È la domanda che Francesco ha posto sulla bocca dei suoi interlocutori fiorentini; il quesito era sì retorico, ma anche una domanda vera. La risposta si trova ripercorrendo il testo di Firenze e dei tre discorsi precedenti. Il Vescovo di Roma chiede alla Chiesa, di cui è primate, di essere una Chiesa: dinamica e fedele alle origini; con una spiritualità cristocentrica; sinodale, che sappia valorizzare tutto il popolo di Dio; capace di rinnovamento e che non si attardi su “una pastorale di conservazione, di fatto generica, dispersiva, frammentata e poco influente”; in stato di missione permanente. È in questo contesto, più generale e di sfondo, che ritengo si debba collocare la richiesta e la realizzazione del Sinodo italiano.

Una risposta ancora timida

A differenza del dibattito innescato dall’articolo de “La Civiltà Cattolica”, nel quale intervennero alcuni vescovi (Lorefice, Pompili, Castellucci) e p. Sorge, l’esplicita sollecitazione del papa al momento ha raccolto solo una prima risposta del cardinale Bassetti su “Avvenire” (3 febbraio), che sembra ancora ferma a considerazioni generali e all’auspicio. Bisogna riconoscere che il presidente della Cei nella relazione introduttiva del Consiglio permanente dell’aprile 2019 aveva ripreso il tema del sinodo proprio a partire da Firenze. Dell’esito di quella sollecitazione, il Comunicato finale poco ci dice: “Nel riconoscere quanto sia vitale per la comunità ecclesiale e per la stessa società una sinodalità convinta e diffusa, i Vescovi ne hanno evidenziato contenuti e ricadute, per assicurarle concretezza”.

Ora la presidenza della CEI, il 27 febbraio, è stata in udienza dal papa è gli ha sottoposto una “bozza…per cominciare già a dare un incipit a questo movimento sinodale”, come ha dichiarato il cardinale Bassetti in un’intervista a “Vatican news”. Circa le linee di questa bozza di lavoro sappiamo poco, qualcosa si può forse arguire da una delle risposte di Bassetti all’intervistatrice: “è necessario tener conto di tre elementi. Il primo è rifarsi all’ Evangelii Gaudium laddove il Papa parla di una conversione pastorale… Poi il Papa parla di fraternità solidale, che naturalmente si esprima nei fatti. […] E naturalmente tutto questo comporta un’accentuata formazione ecclesiale. Questo mi sembra che sia il terreno su cui si debba muovere, le aree principali di questo impegno sinodale”.

Possiamo ritenere che la prudenza con la quale si muove il cardinale presidente esprima le difficoltà del dibattito interno all’episcopato su questa proposta. Oltre ad una difficoltà che potremmo definire culturale (nei vescovi, nei presbiteri, come nei laici) perché legata a un modello di Chiesa piramidale, qualche preoccupazione arriva sicuramente anche dai temi in discussione al Sinodo tedesco e in misura minore dal Concilio plenario della Chiesa australiana.

 

I desiderata

Ma di cosa si dovrebbe occupare un sinodo della Chiesa italiana? Già ai crocicchi del libero dibattito si possono raccogliere importanti desiderata, ma la risposta non può riguardare solo i contenuti, ancor prima e forse quasi più importante dei contenuti sarà il metodo.

A proposito del metodo richiamerei due aspetti. la libertà di parola e il percorso sinodale. La libertà di parola non potrà non caratterizzare tutti i passaggi dell’iter sinodale se si vorrà credibilmente ascoltare cosa ha da dire il “fiuto dei fedeli” alla nostra Chiesa. Libertà anche per le voci critiche.

Altrettanto importante è la definizione del percorso sinodale. Questo processo dovrebbe svolgersi, come ha suggerito anche il papa, “comunità per comunità, diocesi per diocesi” per costruire un camino a partire dal basso e non da un input dall’alto. L’ascolto libero delle tante comunità, non solo delle parrocchie, dovrebbe poi trovare un’intelligente sintesi che determini il documento base per i lavori del Sinodo.

Senza questi due elementi il Sinodo italiano nascerà già morto o assomiglierà a una delle tante Settimane sociali o ai Convegni ecclesiali nazionali a cadenza decennale. Ma non è questo ciò che vuole Pietro.

I contenuti, si potrebbe dire, sappiamo bene quali dovrebbero essere perché emergono in continuazione nelle motivazioni di chi abbandona, nei discorsi sui disagi della vita nelle “comunità” parrocchiali, nella muta assenza dei giovani; in attesa che emergano dall’auspicata capillare consultazione se ne possono ricordare alcuni: la ministerialità (femminile e non), il ruolo e la formazione dei presbiteri; la reale valorizzazione della centralità della Parola; la pastorale degli emarginati (omosessuali, homless, …); l’attuazione del capitolo VIII dell’Amoris laetitia; una riflessione per rendere credibili gli organi di partecipazione (dal consiglio pastorale al consiglio per gli affari economici); la parrocchia come comunità di comunità per dare realizzazione a quanto espresso al n. 28 di Evangelii gaudium

 

E nella Chiesa di Parma?

La nostra Chiesa particolare sta ovviamente in questo percorso e potrebbe segnalarsi per un’efficace organizzazione di un itinerario di consultazione a tutti i livelli e giungere ad una prima sintesi diocesana che consenta al vescovo di rappresentare nell’assemblea dei suoi confratelli vescovi quali sono i bisogni profondi della sua Chiesa, contribuendo così alla determinazione dell’agenda del Sinodo nazionale.

Nel dare vita a questo percorso, che si potrebbe porre in prosecuzione dell’attuale “Anno sinodale 2020-2021”, si potrebbero fare alcune scelte caratterizzanti che già si collochino sulla strada di novità dell’“improrogabile rinnovamento ecclesiale” auspicato nella Evangelii gaudium.

L’ambito di consultazione dovrebbe riguardare tutte le comunità (laiche e religiose), le associazioni e i gruppi spontanei o le semplici associazioni di fedeli; lo strumento di consultazione (scaletta o questionario) dovrebbe essere segnato più dalla preoccupazione di sollecitare il libero scambio che dalla preoccupazione di incanalare la discussione su un preconfezionato elenco di temi; il comitato promotore potrebbe essere costituito in modo paritetico (tra le due componenti laici e presbiteri/religiosi) e potrebbe essere co-coordinato da un laico e da un presbitero; la sintesi da sottoporre poi al vescovo e da fornire come restituzione a tutti gli attori che hanno partecipato dovrebbe essere elaborata da un’équipe “terza” che non ha avuto niente a che vedere con l’organizzazione della consultazione.

Ogni proposta che si avanza non può sfuggire alle obiezioni, anche questa naturalmente ubbidisce a questa legge.

 

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