Famiglia e società, relazioni pericolose?

di Riccardo Campanini

Una delle accuse ricorrenti nei confronti degli italiani riguarda l’eccessivo peso che la famiglia ha nel contesto sociale ed economico del nostro Paese: basti pensare all’invenzione e alla successiva diffusione del concetto, non certo lusinghiero, di “familismo amorale”, coniato appunto per descrivere talune degenerazioni dei legami familiari nel Sud Italia.

Del resto, a scorrere certi elenchi di professionisti o – il che è più preoccupante – di professori universitari di ieri e di oggi, balza effettivamente all’occhio il ripetersi, dopo una o anche due generazioni, degli stessi cognomi abbinati alle medesime mansioni: e infatti tanti giovani, dotati di talento ma non di ascendenze importanti, devono andare all’estero per affermarsi.

 

Ma, per una sorta di singolare contrappasso, nella politica di oggi i legami familiari e in particolare quelli tra genitore e figlio, anziché essere un elemento favorevole allo sviluppo della carriera, sono al contrario motivo di imbarazzo o di vero e proprio ostacolo. Alcuni ben noti esempi tratti dalla cronaca di questi giorni possono confermare questo assunto: Giorgia Meloni che, a causa della gravidanza, deve rinunciare ad una promettente candidatura a Sindaco di Roma; Niki Vendola che diventa padre “surrogato” proprio nel bel mezzo delle polemiche e delle discussioni sulla cosiddetta stepchild adoption, fornendo così un perfetto assist a chi è contrario a tale forma di adozione proprio perché aprirebbe la strada all’utero in affitto. Per non parlare di M. Elena Boschi, alla quale viene pesantemente rinfacciato il ruolo avuto dal padre nel fallimento della Banca Etruria – come se, anziché in uno stato di diritto del XXI secolo, in cui vige il principio della responsabilità individuale, vivessimo in una di quelle società arcaiche in cui la colpa è si trasmette con i legami di sangue.

Va anche aggiunto che in Italia non si sono affermate quelle “dinastie” politiche che hanno invece avuto fortuna in altri Paesi, compresi quelli che puntano il dito contro il familismo italiano: basti pensare ai Le Pen (padre, figlia e, tra qualche anno, nipote) in Francia o ai Kennedy e ai Bush negli Stati Uniti, dove adesso, con la probabile nomination democratica di Hilary Rodham Clinton, sta prendendo piede persino la trasmissione del potere tra coniugi (modello del resto già ampiamente sperimentato in Argentina).

In compenso – e il problema non riguarda ormai solo le Regioni del Sud – c’è un altro tipo di “famiglia” che in Italia è particolarmente diffuso (e pericoloso): quello di ascendenza mafiosa, nelle sue varie declinazioni locali e regionali. Questa sì che, almeno nel confronto con gli altri paesi occidentali, è purtroppo una degenerazione tipicamente italiana della struttura familiare, che va quindi combattuta senza sosta anche sul versante culturale (si veda in proposito l’articolo sulla bella iniziativa organizzata nei giorni scorsi da diverse associazioni ecclesiali). Anzi, dato che la criminalità organizzata, soprattutto nelle Regioni del Nord, è particolarmente forte nel settore delle costruzioni, andrebbe guardata con sospetto persino la vecchia ed (apparentemente) apprezzabile formula “tutto casa e famiglia”, che, in certi ambienti, non promette in realtà niente di buono…

Riccardo Campanini

 

Dall'ultimo numero di BorgoNews