ECUMENISMO: SE NON ORA, QUANDO? di Laura Caffagnini – Responsabile del gruppo S.A.E. di Parma

di Riccardo Campanini

Il tema della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (Spuc) del 2021 ci fa tornare alle radici dell’unità a cui il Signore ci invita: “Rimanete nel mio amore: porterete molto frutto” (Gv 15,5-9).

Ad elaborare il tema, che si auspica sia oggetto di riflessione lungo tutto l’anno, è stata la Comunità monastica femminile di Grandchamp, in Svizzera, una realtà ecumenica nata negli anni Quaranta del Novecento. Anche la storia di queste monache di diverse confessioni cristiane e nazionalità richiama al tema dell’unità: la loro vita comune, nella preghiera e nell’accoglienza, manifestò da subito la vocazione che lentamente stava emergendo in altre realtà. Le esperienze di padre Paul Couturier, promotore del “monastero invisibile”; di frère Roger Schutz, fondatore della Comunità di Taizé; del movimento che porterà nel 1948 alla creazione del Consiglio ecumenico delle Chiese, sono fioriture di una primavera che ha visto anche lo sviluppo della Comunità di Grandchamp, in relazione con esse attraverso rapporti significativi. Queste esperienze aurorali ci invitano a riconoscere i frutti presenti in ogni chiesa, in ogni “tralcio”, perché l’unità è nella diversità e non nell’uniformità. E ci interpellano sul nostro essere qui ed ora. A Parma nel 2021 dove stiamo, ecumenicamente parlando? Abbiamo celebrato la Settimana di preghiera per l’unità in un solo incontro su piattaforma per evitare rischi di contagio. La riduzione degli appuntamenti, causata dalla pandemia, riflette anche una fatica che sta attraversando l’ecumenismo. Una “crisi di crescita” – come è stata definita nel volume “Concilio e post Concilio a Parma” (Mup Editore) – nella quale sono intrecciati diversi fattori.

La primavera ecumenica a Parma

La nostra città è stata tra le prime in Italia a veder nascere un gruppo locale del Segretariato attività ecumeniche (Sae). Fondata nel 1964 da Maria Vingiani che, in ascolto dello Spirito, ha contribuito a far fiorire l’ecumenismo nella Chiesa cattolica romana prima e durante il Concilio Vaticano II, l’associazione è approdata a Parma grazie a Onelia Ravasini. Accanto a lei c’erano altre pioniere come Paola Cavazzini e Giovanna Passalacqua alle quali si unirono Myrna Trochidis e Annalena Lovato Ballarini. Cattoliche impegnate nei Laureati cattolici e in Rinascita cristiana, per sensibilità e fede attente alla vita della Comunità ebraica e delle altre Chiese. Andò così sviluppandosi un movimento che radunava laiche e laici delle Chiese cattolica, metodista, avventista, ortodossa e alcuni presbiteri. Negli anni ’90 il vescovo Benito Cocchi, rispondendo a sollecitazioni del gruppo Sae, curò la creazione di una Commissione diocesana per l’ecumenismo, i rapporti con l’ebraismo e il dialogo interreligioso, che fu varata nel 1995 e proseguì con entusiasmo l’opera già esistente.

Nel 2004 un ulteriore passo in avanti, grazie al lavoro del gruppo misto di cui faceva parte anche il Sae, fu la nascita del Consiglio delle Chiese cristiane di Parma (Cccpr): avventista, cattolica, metodista, greco-ortodossa, seguite poi dalla Chiesa ortodossa romena. Il Cccpr ha lavorato e lavora per promuovere la conoscenza e la collaborazione tra cristiane e cristiani organizzando la Spuc, altre Giornate e azioni di testimonianza cristiana. Nel 2007 le chiese che fanno parte di questo Consiglio hanno contribuito singolarmente alla fondazione del Forum interreligioso “4 ottobre”.

 

Una crisi di crescita?

Raggiunte queste tappe, diverse domande affiorano. Quanto sono cresciute la conoscenza e l’amore tra le Chiese? L’ecumenismo è divenuto quella dimensione essenziale raccomandata dai documenti conciliari (Unitatis Redintegratio, Nostra Aetate) e post conciliari (Direttorio dei principi e delle norme sull’ecumenismo, Ut Unum Sint)? Cosa sappiamo nelle nostre parrocchie dell’esistenza delle Chiese d’Oriente e della Riforma? E del popolo ebraico – popolo dell’Alleanza mai revocata –, la “radice sulla quale siamo stati innestati”?

Un cinquantennio di impegno sembra non aver conseguito una grande estensione della sensibilità ecumenica. Oggi, per quanto riguarda i giovani, ci sono difficoltà nella trasmissione intergenerazionale, presenti in ogni chiesa: forse i linguaggi, le modalità, le proposte non sono adeguate al tempo che sta cambiando, o sono sovrastate da altri interessi che prevalgono nei giovani ma anche negli adulti.

L’ecumenismo è anche vittima della riemersione della paura e del sospetto in diverse comunità, percepito non qual è – un’opera per l’unità nella salvaguardia delle diversità –, ma come tentativo di proselitismo. Succede specialmente nelle Chiese che negli ultimi anni hanno avuto un forte avvicendamento, con arrivi di fedeli provenienti da comunità probabilmente non abituate al discorso ecumenico. Succede anche nella Chiesa cattolica dove l’ecumenismo è rimasto impegno di una minoranza che non comprende solo laiche e laici ma anche il clero. Ne pare conscio il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani che ha pubblicato il 4 dicembre scorso il documento “Il Vescovo e l’unità dei cristiani: vademecum ecumenico”, definito dal suo presidente, cardinale Koch «come una guida, una bussola, o come un compagno di viaggio per il cammino ecumenico del Vescovo assieme alla sua diocesi». La promozione dell’unità dei cristiani «non è una dimensione opzionale del suo ministero, bensì un dovere e un obbligo». Il Vademecum, che non contiene novità rispetto ai documenti precedenti, ha ritenuto di doverlo precisare.

 

Prospettive future

Il Consiglio delle Chiese cristiane di Parma, che avverte la difficoltà del periodo, e il rischio della ripetitività nelle celebrazioni, si rende conto che proporre eventi non basta più. Serve una conoscenza più profonda tra le diverse confessioni che non può essere frutto di sporadici incontri, ma deve avere una continuità e un allargamento. Organi di partecipazione, animatori e animatrici delle diverse comunità hanno bisogno di conoscere le rispettive tradizioni e interagire per poi farsi testimoni sulla via dell’unità nelle rispettive Chiese.

Nella Diocesi occorre un lavoro di formazione e di animazione ecumenica che è venuto a mancare. Si attende da tempo la creazione di una nuova Commissione diocesana per i rapporti con l’ebraismo e il dialogo interreligioso dopo che quella precedente, non più riconfermata, si è spenta. C’è bisogno in tutte le Chiese di una pastorale integrata nella quale il lavoro per l’unità sia trasversale a ogni ambito ecclesiale: predicazione, liturgia, catechesi, formazione, servizio. Ormai sappiamo che non bastano i rapporti amicali o diplomatici tra i ministri, laddove ci sono. Occorre una conoscenza diffusa delle altre chiese, degli organismi ecumenici internazionali, dei documenti prodotti dai dialoghi teologici che costituiscono dei passi avanti nel cammino verso l’unità. Quest’anno ricorre il ventennale della Charta Oecumenica firmata a Strasburgo il 21 aprile 2001 dal Consiglio delle Conferenze dei vescovi d’Europa e dalla Conferenza delle Chiese europee. Sapremo mettere in pratica la loro dichiarazione di impegno «a superare l’autosufficienza e mettere da parte i pregiudizi, a ricercare l’incontro reciproco e ad essere gli uni per gli altri»? Se non ora, quando?

 

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