DARE TEMPO ALLA CURA E GENERARE NUOVO LAVORO  di Daria Jacopozzi

di Redazione Borgo News

  Come contributo alla riflessione in occasione della Festa del Lavoro del 1° maggio pubblichiamo il resoconto di una significativa proposta di nuove modalità dl lavoro e di cura

 Work and Care: questo il titolo  del Villaggio “Lavoro e Cura“, uno dei 12 della  Economy of Francesco che hanno sviluppato (e continuano a farlo)  percorsi di approfondimento sui necessari cambiamenti di paradigma nell’agire e pensare economico alla luce della Laudato sì e dell’Economia civile e di comunione. L’evento della Economy of Francesco è stato realizzato in piena pandemia, all’interno di una sensibilità sulla conciliazione di cura/salute/educazione/lavoro/ambiente che sta davvero scardinando la visione  e la sensibilità del passato. Ecco perché come Gruppo 19 marzo abbiamo cercato di riavvolgere  i fili di un ragionamento sul lavoro che ha al centro il valore del “tempo liberato” e “liberabile”, ragionamento che dalla rivoluzione industriale in poi ha visto affrontare il tema del “giusto tempo lavorativo” nella progressiva riduzione del tempo lavoro (dalle 18 alle 12 ore fino alle 8 ore quotidiane frutto delle più recenti conquiste sindacali). In particolare abbiamo incontrato i protagonisti del Villaggio lavoro e cura la cui coordinatrice è la filosofa canadese  Prof.ssa J. Nedelsky. Basa il suo pensiero e la sua proposta di un “part time per tutti” su un assunto che nasce da un’ osservazione fenomenologica e storica resa possibile dalla rivoluzione femminile del nostro secolo:  da generazioni e generazioni sono state le donne a curare gli altri, parenti o minori o malati. Un lavoro di cura spesso considerato “residuale” (nel senso tecnico di “ciò che ti resta da fare dato che rimani a casa dal lavoro vero”). Il lavoro come fatica e in particolare quello svolto nell’ambito dell’impresa assume il massimo rilievo dopo che nasce e si consolida una classe borghese. Il lavoro dignitoso, costruttivo, finanche creativo è quello che si svolge ad ogni livello organizzato e guidato in forme imprenditoriali, le più disparate. Nel ruolo domestico continua ad incarnarsi l’universo femminile rappresentato da metafore mitizzanti: l’Angelo del Focolare  Questo il vertice massimo della sua dignità (!!)  e della sua riconoscibilità, almeno fino agli anni ‘60, in Occidente. Alla luce di tutto ciò, secondo la Nedelsky che guarda sia all’Occidente ma anche ad altre culture del nostro pianeta, solo riconoscendo al lavoro di cura la sua importanza e dignità sociale si potrà realizzare una vera liberazione delle donne nelle loro scelte di vita e nella loro identità di genere. Contemporaneamente questa rivoluzione culturale farà crescere anche il mondo maschile,  impegnandolo in un ambito, quello della cura, che gli compete nello stesso identico modo, almeno su un piano di equità e giustizia sociale.

Negli ultimi anni molti studiosi di diritto del lavoro ed economisti hanno approfondito l’ipotesi di rispondere alla crisi economica globale (che si prefigura ancora peggiore in futuro dopo la pandemia con il drammatico esito della disoccupazione in particolare giovanile) proponendo una necessaria flessibilità lavorativa, un concetto di produttività intelligente  e meno deterministico, una migliore qualità di lavoro, fino ad arrivare ad una  emancipazione delle donne attraverso una vera paritaria condivisione delle responsabilità educative, di cura, di impegno sociale. Stiamo assistendo ad esperienze di contrattazione in alcune grandi aziende della Germania ma anche in Italia che sperimentano, anche attraverso forme di welfare aziendale, una riduzione volontaria dell’orario di lavoro sulla base della possibilità di raggiungere obiettivi migliorativi sia sul piano organizzativo che su quello produttivo. E’ il caso di Luxottica che attraverso i sindacati CGIL CISL E UIL  porterà nei prossimi anni l’azienda a stabilizzare più di 1000 giovani interinali stagionali grazie ad una flessibilità e corrispettiva riduzione di ore lavorative strutturali di altri lavoratori e lavoratrici. Il vecchio ed eversivo paradigma degli anni ‘70 , “lavorare meno, lavorare tutti”,  oggi assume un nuovo significato, rivisto e riproposto alla luce della grande crisi strutturale del 2008 (e ora dell’era post pandemica). I suoi effetti sono noti: aumento esponenziale della disoccupazione , del lavoro nero e della povertà che  ha visto nascere in Italia come sostegno di emergenza il Reddito di cittadinanza del 2016. Collegato inizialmente alla ricerca del lavoro, in pochi anni il RdC  ha mostrato anche le sue contraddizioni proprio nella sua difficoltà intrinseca del trovare lavoro.  Una proposta di legge popolare firmata dal prof. Piergiovanni Alleva offre per esempio un impianto giuridico sostenibile per  creare nuovi e reali posti di lavoro attraverso il finanziamento del Reddito di cittadinanza: il suo utilizzo sarebbe  accompagnato dalla riduzione di orario di lavoro per alcuni  lavoratori (es. 1 giornata in meno la settimana) che in questo modo “libererebbero” ore di lavoro producendo  un posto di lavoro pieno per chi avrebbe usufruito del reddito. Obiettivo e valore secondario non indifferente sono le ore di vita personale liberate per la cura, la famiglia, la politica, la cultura, il volontariato: una ricchezza per la persona e per la comunità intorno a lei.

Incontreremo il 6 maggio come  Gruppo 19 marzo  ( grazie anche alla collaborazione dei coordinatori del Villaggio lavoro e cura della EoF) queste tre esperienze che nascono dal bisogno di cambiare anche le “regole del gioco” del lavoro, di ragionare sulla persona al centro e sulla sostenibilità della nostra vita spesso schiacciata da una cultura “stakanovista” per cui “siamo” e “valiamo” quanto siamo impegnati e impegnabili nel lavoro. La pandemia ci ha insegnato i delicati equilibri legati  alla quantità e alla qualità del lavoro, anche attraverso l’esperienza dello smart working che porta con sé potenzialità ma anche pericoli e contraddizioni. Ci ha insegnato soprattutto il valore del lavoro di cura, che è sia  lavoro pagato ma anche dimensione quotidiana del prendersi cura l’uno dell’altro senza deleghe, in piena responsabilità come uomini e donne. Prendersi cura dei giovani  e delle donne, creare nuove possibilità di lavoro stabile e professionalizzante aumentando tempi di vita liberati: una sfida per il futuro che in molti stanno raccogliendo, gruppi formali e gruppi informali come il Gruppo 19 marzo che da 10 anni a Parma offre occasioni di scambio e di confronto su idee coraggiose e anche un po’ eversive in economia, nella logica della comunione e della dottrina sociale della Chiesa.

 

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