CHE COSA HA INSEGNATO LA PANDEMIA COVID?  di Maurizio Vescovi

di Redazione Borgo News

Il Borgo ha ospitato Massimo Galli, Responsabile Malattie infettive dell’Ospedale Sacco di Milano e Massimo Fabi, Direttore generale dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria cittadina per parlare di Prevenzione Sanitaria e Salute Pubblica. A condurre la conversazione a distanza è stata Stefania Re – Portavoce del Circolo Culturale “NUOVE LUCI – G. LA PIRA” assieme allo scrivente,  medico di Parma.  Un tema ampio, quello trattato, inserito a pieno titolo in “Agenda Parma 2022” come uno dei punti principali intorno ai quali si articolerà la discussione pubblica in vista della consultazione amministrativa del prossimo anno. Un tema ampio, che in altre fasi storiche sarebbe stato affrontato da angolature molteplici e differenti, tante quante sono i piani che concorrono a comporre il quadro d’insieme in tema di sanità pubblica. In questo mese di marzo appena iniziato, in quest’anno che avremmo voluto profondamente diverso da quello da poco concluso, a distanza di un anno esatto da quando tutto è iniziato – la pandemia da Covid-19 – parlare di prevenzione e di salute pubblica ha significato affrontare di petto due nodi strategici: il tema vaccini anche e soprattutto in relazione alle varianti e l’importanza delle sinergie fra medicina territoriale e medicina ospedaliera come fattori di “tenuta” del sistema complessivo di cure a e assistenza sanitaria. Su un elemento – che è anche una premessa indispensabile – l’accordo dei relatori del webinar è stato totale: le aree geografiche a maggior tenuta durante i giorni neri della pandemia sono state quelle in cui il legame fra Medicina territoriale e Medicina Ospedaliera è stato più saldo. La prima ondata del Febbraio-Marzo 2020 è stata come uno tsunami, improvviso e devastante. Ha preso tutti in contropiede. E’ stata una prova devastante sia per i malati che per gli operatori. Dobbiamo ora superare il disagio e la sofferenza di quei giorni (nonostante la minaccia tuttora incombente), ma non possiamo aver fretta di archiviare, perché abbiamo il compito collettivo di farne memoria della Comunità. Non dobbiamo e non possiamo dimenticare il contesto collettivo di quei giorni. Il 5 Aprile 2020, la Gazzetta di Parma titolava <<State in casa, per l’amor di Dio>>. L’ansia, l’angoscia, il senso di impotenza – forse – di fronte ai numeri e alla gravità dell’emergenza erano pervasivi. Tuttavia, la risposta del Sistema Sanitario – pur con comprensibili errori – è stata una risposta ferma, decisa e “flessibile”. Interi reparti ospedalieri sono stati riconvertiti per fronteggiare l’epidemia,  nella nostra provincia, gli Ospedali di Vaio e Borgotaro sono diventati COVID Hospital, sono state riorganizzate le Radiologie perché servivano più TAC del torace. Era una emergenza totale anche per gli operatori della Sanità.

La Medicina Generale – per vocazione “medicina di vicinanza” – ha dovuto re-immaginarsi entro un perimetro di flessibilità, consolidando e riadattando nuovi canali e nuovi ponti comunicativi con un incremento esponenziale di contatti mail, telefonici, sms, WhatsApp, compiendo tanti sforzi per il monitoraggio dei pazienti, con restituzione di reportistica quotidiana nei casi più impegnativi. La Medicina di famiglia, infatti, fa da ponte – da sempre – fra passato e futuro, cercando di non lasciare indietro nessuno. La Medicina territoriale, con il patrimonio inestimabile della conoscenza delle persone – valore irrinunciabile – e della anamnesi longitudinale, ha provato a guardare al futuro. La Telemedicina che verrà e che si auspica deve partire da lì, dalle biografie delle persone. E’ vero, altresì, che la tenuta del Sistema Sanitario è stata condizionata da fattori di debolezza.   Quanti ritardi iniziali nell’esecuzione dei tamponi! Perchè? Quanto ritardo nella campagna vaccinale adesso! Perchè?. Ugualmente, il Sistema Sanitario, mostra i suoi punti di forza: la risposta a 720° della Medicina di base è stata rappresentata anche dal sostegno e dall’aiuto psicologico – non solo ai malati ma anche alle loro famiglie – per impedire che l’effetto domino di sofferenza e disagio potesse condurre al naufragio totale. Nell’emergenza, si è reso necessario un “tele-adeguamento” tecnologico. E la risposta è stata l’inserimento delle forze USCA (Unità Speciali di Continuità Assistenziale) e UMM (Unità Mobili Multidisciplinari) che hanno portato un plus valore per controllare la situazione al domicilio. In questo modo, una parte consistente della lotta al COVID si è affrontata sul territorio. A distanza di un anno dall’esplosione della pandemia, nel Recovery Plan al capitolo “Prossimità” spicca la scommessa “Casa come primo luogo di cura”. E’ sicuramente un’acquisizione importante, un bel punto d’arrivo, finalmente. Adesso, però, si avverte la necessità di capitalizzare il patrimonio di esperienze. Imparare da quel che è successo, non solo per far fronte a nuove e possibili pandemie, ma per migliorare in modo complessivo – in ogni evenienza – il sistema di Cura.

Purtroppo, a distanza di più di un anno – come ha ricordato Stefania Re, introducendo l’incontro – siamo ancora in mezzo al guado. Le ha fatto eco Massimo Galli che, pur osteggiato da molti, aveva previsto l’ondata della variante “inglese”, allertando al contempo sull’ingresso sulla scena di nuove varianti (ad esempio quella sudafricana e quella brasiliana). Massimo Fabi ha sottolineato, da parte sua, come distinzioni semantiche fra Medicina del territorio e Medicina Ospedaliera non rivestano più carattere contenutistico. Certo, occorre scoprire nuove potenzialità e intercettare nuove traiettorie per i Medici generali, come ad esempio quella di farsi “sensori” di malesseri prima ancora che si concretizzino compiutamente (nel caso della pandemia come non ricordare il picco anomalo di Polmoniti nei mesi di Gennaio e febbraio 2020 denunciato pubblicamente da alcuni MMG, proprio qui a Parma?). Ed in particolare, non deve e non può sfuggire un’attenzione mirata al disagio psicologico prodotto dalla paura della malattia e dal Lockdown. Insieme all’attenzione nei confronti dei i danni che vedremo in futuro sulla psiche delle persone, dei malati, dei familiari delle vittime, dei tanti che non hanno potuto accompagnare i loro cari nell’ultimo tratto dell’esistenza, di quanti hanno perso il lavoro, specie fra le donne, di quanti si sono impoveriti. Insieme all’attenzione al malessere dei bambini e dei ragazzi, privati dell’opportunità di scuola e socializzazione “in presenza”, leit motiv, purtroppo, troppo spesso ricorrente anche in tanta, sterile polemica politica. Ed attenzione, infine, per il malessere, il disagio, la fatica psicologica, oltre che fisica, di tanti operatori sanitari. Tutto ciò che è successo non deve essere stato vissuto invano. Anche per onorare la memoria di chi si è ammalato ed è morto per COVID.

 

 

 

 

 

 

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